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molta dipendenza dalla seconda: di non aver nulla a sperare dopo la morte.

E per quel che dice ironicamente Tristano del miglioramento della specie umana vedi il pensiero del 21 marzo 1821 riferito qui sopra a p. 305 a illustrazione del Dialogo di Timandro e di Eleandro.

12 febbraio 1821, Z. 646 (II, III):

Nessun secolo de’ piú barbari si è creduto mai barbaro, anzi nessun secolo è stato mai che non credesse di essere il fiore dei secoli e l’epoca piú perfetta dello spirito umano e della societá. Non ci fidiamo dunque di noi stessi nel giudicare del tempo nostro, e non consideriamo l’opinione presente, ma le cose, e quindi congetturiamo il giudizio della posteritá, se questa sará tale da poterci giudicar rettamente.

E ancora il 15 ottobre 1824, Z. 4120 (VII, 41):

Non solo come ho detto altrove, nessun secolo barbaro si credette esser tale, ma ogni secolo si credette e si crede essere il non plus ultra dei progressi dello spirito umano, e che le sue cognizioni, scoperte ecc., e massime la sua civilizzazione difficilmente o in niun modo possano essere superate dai posteri.

E rimandava a «un bel luogo del Petrarca, citato e tradotto elegantemente dal Perticari nel trattato Degli scrittori del Trecento, 1. I c. 16, 92-93».

Cosí non v’è nazione né popoletto cosí barbaro e selvaggio che non si creda la prima delle nazioni; e il suo stato il piú perfetto, civile, felice, e quel delle altre tanto peggiore, quanto piú diverso dal proprio. (Vedi Robertson, Storia d’America, Venezia, 1794, T. II, pp. 126, 232-33). Cosí le nazioni mezzo civili e imperfette, anche in Europa ecc. E cosí sempre fu.

20 marzo 1821, Z. 822-25 (II, 205-7):

Non solamente ciascuna specie di bruti stima o esplicitamente e distintamente, o certo implicitamente e confusamente, di esser la prima e piú perfetta nella natura e nell’ordine delle cose, e che tutto sia fatto per lei, ma anche nello stesso modo ciascun