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dialogo di malambruno e di farfarello 39


Farfarello. Ma in vita non lo può nessun animale: perché la vostra natura vi comporterebbe prima qualunque altra cosa, che questa.

Malambruno. Così è.

Farfarello. Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace, necessariamente desideri il piú che puoi la felicitá propria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu non possa fuggire per nessun verso di non essere infelice.

Malambruno. Né anco nei tempi che io proverò qualche diletto; perché nessun diletto mi fará né felice né pago.

Farfarello. Nessuno veramente.

Malambruno. E però, non uguagliando il desiderio naturale della felicitá che mi sta fisso nell’animo, non sará vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io non lascerò di essere infelice.

Farfarello. Non lascerai: perché negli uomini e negli altri viventi la privazione della felicitá, quantunque senza dolore e senza sciagura alcuna, e anche nel tempo di quelli che voi chiamate piaceri, importa infelicitá espressa.

Malambruno. Tanto che dalla nascita insino alla morte, l’infelicitá nostra non può cessare per ispazio, non che altro, di un solo istante.

Farfarello. Sí: cessa, sempre che dormite senza sognare, o che vi coglie uno sfinimento o altro che v’interrompa l’uso dei sensi.

Malambruno. Ma non mai però mentre sentiamo la nostra propria vita.

Farfarello. Non mai.

Malambruno. Di modo che, assolutamente parlando, il non vivere è sempre meglio del vivere.

Farfarello. Se la privazione dell’infelicitá è semplicemente meglio dell’infelicitá.

Malambruno. Dunque!

Farfarello. Dunque se ti pare di darmi l’anima prima del tempo, io sono qui pronto per portarmela.