Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/97

Da Wikisource.

il parini - capitolo iii 91


Ma quando, per qualunque delle dette cagioni, l’uomo è mal disposto agli effetti dell’eloquenza e della poesia, non lascia egli nondimeno né differisce il far giudizio dei libri attenenti all’un genere o all’altro, che gli accade di leggere allora la prima volta. A me interviene non di rado di ripigliare nelle mani Omero o Cicerone o il Petrarca, e non sentirmi muovere da quella lettura in alcun modo. Tuttavia, come giá consapevole e certo della bontá di scrittori tali, sì per la fama antica e sì per l’esperienza delle dolcezze cagionatemi da loro altre volte; non fo per quella presente insipidezza, alcun pensiero contrario alla loro lode. Ma negli scritti che si leggono la prima volta, e che per essere nuovi, non hanno ancora potuto levare il grido, o confermarselo in guisa che non resti luogo a dubitare del loro pregio; niuna cosa vieta che il lettore, giudicandoli dall’effetto che fanno presentemente nell’animo proprio, ed esso animo non trovandosi in disposizione da ricevere i sentimenti e le immagini volute da chi scrisse, faccia piccolo concetto d’autori e d’opere eccellenti. Dal quale non è facile che egli si rimuova poi per altre letture degli stessi libri, fatte in migliori tempi: perché verisimilmente il tedio provato nella prima, lo sconforterá dalle altre; e in ogni modo, chi non sa quello che importino le prime impressioni, e l’essere preoccupato da un giudizio, quantunque falso?

Per lo contrario, trovansi gli animi alcune volte, per una o per altra cagione, in istato di mobilitá, senso, vigore e caldezza tale, o talmente aperti e preparati, che seguono ogni menomo impulso della lettura, sentono vivamente ogni leggero tocco, e coll’occasione di ciò che leggono, creano in sé mille moti e mille immaginazioni, errando talora in un delirio dolcissimo, e quasi rapiti fuori di sé. Da questo facilmente avviene che, guardando ai diletti avuti nella lettura, e confondendo gli effetti della virtú e della disposizione propria con quelli che si appartengono veramente al libro; restino presi di grande amore ed ammirazione verso quello, e ne facciano un concetto molto maggiore del giusto, anche preponendolo ad altri libri piú degni, ma letti in congiuntura meno propizia. Vedi dunque