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pensieri - xvi-xvii 13

quale credevano gli antichi, quando si trovavano in grandezze e in prosperitá, che convenisse placare negli stessi dèi, espiando con umiliazioni, con offerte e con penitenze volontarie il peccato appena espiabile della felicitá o dell’eccellenza.

XVI.

Se al colpevole e all’innocente, dice Ottone imperatore appresso Tacito, è apparecchiata una stessa fine, è piú da uomo il perire meritamente. Poco diversi pensieri credo che sieno quelli di alcuni, che avendo animo grande e nato alla virtú, entrati nel mondo, e provata l’ingratitudine, l’ingiustizia, e l’infame accanimento degli uomini contro i loro simili, e piú contro i virtuosi, abbracciano la malvagitá; non per corruttela, né tirati dall’esempio, come i deboli; né anche per interesse, né per troppo desiderio dei vili e frivoli beni umani; né finalmente per isperanza di salvarsi incontro alla malvagitá generale; ma per un’elezione libera, e per vendicarsi degli uomini, e rendere loro il cambio, impugnando contro di essi le loro armi. La malvagitá delle quali persone è tanto piú profonda, quando nasce da esperienza delle virtú; e tanto piú formidabile, quanto è congiunta, cosa non ordinaria, a grandezza e fortezza d’animo, ed è una sorte d’eroismo.

XVII.

Come le prigioni e le galee sono piene di genti, al dir loro, innocentissime, cosí gli uffizi pubblici e le dignitá d’ogni sorte non sono tenute se non da persone chiamate e costrette a ciò loro mal grado. È quasi impossibile trovare alcuno che confessi di avere o meritato pene che soffra, o cercato né desiderato onori che goda; ma forse meno possibile questo che quello.