Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/208

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202 volgarizzamento

è impossibile che l’uomo, quando egli si uccide da sé medesimo, uccida col suo mortale il suo stesso mortale; ma si bene egli spegne la natura mortale che è in lui, colla natura immortale.

Per questi e simili discorsi, che non tutti al presente è luogo di ricordarli, sappiamo che le nazioni piú antiche di cui si ha memoria al mondo, e le piú riputate, tutte parimente concorsero in questa sentenza, che le anime degli uomini fossero dotate dell’immortalitá. Come a dir gl’iberi, i celti, i tirreni, i traci, i greci, i romani, gl’indiani, i medi, gli egizi; e cosí qualunque altra vogliasi non oscura e non isprezzata gente. Adunque con buona ragione ancora noi abbiamo detto non altro essere le morti, sì dei congiunti e degli amici, e sì le nostre proprie, se non peregrinazioni della piú degna parte dell’uomo ad un qualunque luogo a lei accomodato, e separazioni degli uni dagli altri per alcun tempo solamente, e non giá in perpetuo.

Di maniera che debbe ogni virile animo sapere in sì fatti casi non difficilmente racconsolarsi; e in niun modo riputerá egli per le maggiori disavventure del mondo le morti de’ suoi: massimamente di quelli dei quali, per la virtú loro e la ben condotta vita, sperasi che colá sieno per venire in buona e felice stanza. La quale opinione è da avere altresi dell’imperatrice testé defunta, stata di quella virtú e di quella onoranda vita che tutti sappiamo. Perciocché né anche questo parrá credibile a persone d’intendimento anco scarso: che di lá i buoni non trovino, in ricompensa del merito, migliori partiti, e peggiori i rei: essendo che Iddio sia fermamente riputato giudice giustissimo e incorruttibile.