Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/27

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pensieri - xxvii-xxix 21

qualche prosperitá, uno de’ primi pensieri che gli nascono, è di avere a dividere la sua gioia cogli amici, e che forse di maggior contento riesca la cosa a loro che a lui; né gli sa venire in capo che debbano, all’annunzio del suo caso prospero, i volti de’ suoi cari distorcersi ed oscurarsi, e alcuno sbigottire; molti sforzarsi in principio di non credere, poi di rappiccinire nell’estimazione sua, e nella loro propria e degli altri, il suo nuovo bene; in certi, a causa di questo, intepidirsi l’amicizia, in altri mutarsi in odio; finalmente non pochi mettere ogni loro potere ed opera per ispogliarlo di esso bene. Cosí è l’immaginazione dell’uomo ne’ suoi concetti, e la ragione stessa, naturalmente lontana e aborrente dalla realtá della vita.

XXVII.

Nessun maggior segno d’essere poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita.

XXVIII.

Il genere umano e, dal solo individuo in fuori, qualunque minima porzione di esso, si divide in due parti: gli uni usano prepotenza, e gli altri la soffrono. Né legge né forza alcuna, né progresso di filosofia né di civiltá potendo impedire che uomo nato o da nascere non sia o degli uni o degli altri, resta che chi può eleggere, elegga. Vero è che non tutti possono, né sempre.

XXIX.

Nessuna professione è sí sterile come quella delle lettere. Pure tanto è al mondo il valore dell’impostura, che coll’aiuto di essa anche le lettere diventano fruttifere. L’impostura è anima, per dir cosí, della vita sociale, ed arte senza cui