Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/324

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le maniere del discorso, restando che si rassomiglino all’anima i sentimenti e i concetti che possono animare infiniti e diversissimi corpi di svariatissimi atti e sembianze, che è quanto dire esser espressi con forme e parole innumerabili e disparatissime. Ed effettivamente il vocabolo «stile» che comprende si la persona che le sembianze e gli atti di lei, o vogliamo tutte e due le parti che dirò visibili dell’orazione, comunissimamente s’usa senza divario per dinotare quando l’una quando l’altra di queste parti staccatamente, non avuta nessuna considerazione di quella parte della quale si tace, e senza che chi scrive si dia pensiero d’ammonire i lettori quale di esse parti voglia significare con quella voce, il che si viene a intendere solamente dal contesto, e noi non ci badiamo piú che tanto: pare che il vocabolo sia proprio di ciascuna delle due parti presa da per sé tanto dell’una quanto dell’altra, onde spessissimo vediamo accadere ch’altri intantoché va dicendo ch’egli parla dello stile di qualche scrittura, non tocchi però niente fuorché le parole e la lingua: in somma si confondono insieme le due parti dello stile, che tuttavia differiscono pure assai. E spero che se porrete mente alle cose che ho dette, vi dobbiate certificare che in veritá la forza e l’uso della parola «stile» sono oscuri e quasi fluttuanti, io non dico presso i piú, ma eziandio presso i dotti e oculati i quali parimente l’adoprano nei modi specificati di sopra; e che dove è bisogno discernere le qualitá delle forme dello stile dalle qualitá della materia o sia delle parole e della favella, lo strettissimo collegamento e quasi incorporamento di quelle con queste tratto tratto fa gabbo anche alle viste piú fine e penetrative: e quando dico «forme», intendo tutto l’intrinseco dello stile, come dire l’ingenuitá, la piacevolezza, la forza, la dignitá; e quando dico «parole» e «favella», tutto l’estrinseco. Onde ci ebbe chi stimò che la gente prenda in affetto uno di quegli errori ch’io dico, attribuendo all’intrinseco dello stile di Sallustio la brevitá che, secondo lui, sta tutta nell’estrinseco; cioè i periodi in veritá sono brevi, e di punti non c’è carestia; ma, colui diceva, perch’altri valichi un certo spazio a forza di salti, ei non fa mica meno strada di chi tragitti quel medesimo o altrettanto spazio camminando alla distesa: e Sallustio non si sbriga de’ suoi concetti in poco d’ora, ma li volge e li rimena e li frega e li ruzzola, e anche alle volte, posati che gli ha, da capo li ripiglia: ora uno scrittore cosi fatto non è breve, né la brevitá consiste nei molti punti. Ma questo parere io l’ho portato sola-