Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/161

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quelli che si ardiscono mordere i precettori delle lettere e gli studiosi di quelle, non sono manco da avere in abbominazione che sieno coloro che offendono i tempii degl’immortali. In quanto a me, ho cara e pregiata qualunque letteratura; ma bellissimi e regii ed accomodati a me sopra tutti gli altri mi paiono quei ragionamenti che danno consigli e regole sopra gl’instituti e gli uffici e sopra i reggimenti delle cittá, e massime quelli che insegnano ai potenti come sia da trattare la moltitudine, e ai privati come sia da procedere verso i principi. Perocché io veggo per questi si fatti ammaestramenti le cittá essere felici e crescere in grandezza oltremodo. Dell’altra parte, cioè come uno debba regnare, avete udito il ragionamento composto da Isocrate. Quella che le tien dietro, la quale si è degli uffici dei sudditi, vedrò di spiegarla io, non con animo di soverchiare Isocrate, ma in quanto che egli mi si conviene di favellarvi sopra tutto di questa materia. Perocché se non avendovi io dato a conoscere quello che io voglio che voi facciate, intervenisse che voi vi discostaste dall’intenzione mia, non me ne potrei giustamente crucciare. Ma se, avendovelo io mostro, non seguisse l’effetto, ben ragionevolmente riprenderei chi non ubbidisse. Io credo che meglio mi verrá fatto di persuadervi, e meglio vi recherò a tener bene a memoria e mettere in pratica quello che io sono per dire, se non istarò solamente in sul consigliarvi, e annoverato che io v’abbia i miei precetti, farò fine, ma se da vantaggio dimostrerovvi, prima, che lo stato presente della cittá si vuol aver caro e contentarsene, non solo per rispetto alla necessitá, né anco perciò solamente, che sempre siamo vissuti con questa forma, ma per rispetto eziandio che ella è la migliore di tutte. Poi, che questo principato che io tengo, io non l’ho per modo illegittimo e non è d’altrui, ma tengolo lecitamente e di ragione, si avendo riguardo a’ miei progenitori primi, si a mio padre e si ultimamente a me stesso. Dimostrate che sieno le quali cose, nessuno ci dovrá essere che, pure da sé, non si giudichi degno di qual si sia maggior pena, in caso che egli contravvenga ai consigli e ai comandamenti miei.