Pagina:Leopardi - Canti, Starita (corretta), Napoli 1835.djvu/171

Da Wikisource.

165

     25Come fuggiste, o belle ore serene!
Dilettevol quaggiù null’altro dura,
Nè si ferma giammai, se non la spene.
     Ecco turbar la notte, e farsi oscura
La sembianza del ciel, ch’era sì bella,
30E il piacere in colei farsi paura.
     Un nugol torbo, padre di procella,
Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto.
Che più non si scopria luna nè stella.
     Spiegarsi ella il vedea per ogni canto,
35E salir su per l’aria a poco a poco,
E far sovra il suo capo a quella ammanto.
     Veniva il poco lume ognor più fioco;
E intanto al bosco si destava il vento,
Al bosco là del dilettoso loco.
     40E si fea più gagliardo ogni momento,
A tal che n’era scosso e svolazzava
Tra le frondi ogni augel per lo spavento.
     E la nube, crescendo, in giù calava
Ver la marina sì, che l’un suo lembo
45Toccava i monti, e l’altro il mar toccava.
     Già tutto a cieca oscuritade in grembo,
S’incominciava udir fremer la pioggia,
E il suoli cresceva all’appressar del nembo.
     Dentro le nubi in paurosa foggia
50Guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi;
E n’era il terren tristo, e l’aria roggia.