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Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/266

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1282. A Monaldo Leopardi.
Firenze 17 Giugno 1828

Caro Papà mio. Ricevo qui da Pisa la carissima sua del primo. Le sue lettere sono assolutamente l’unica consolazione ch’io abbia; ma da quest’ultima provo tutto il conforto che può dare nelle grandi afflizioni l’amore delle persone care. Ella mi signi- fica l’amor suo così teneramente, che giunge a rallegrarmi; tanto più ch’io sento assai bene di meritarlo interamente, se l’amore si merita coll’amore. Io entro con tutta l’anima in ciascuna particolarità del dolor suo. Mi sarebbe impossibile di decidere se nella pena che ho provata e che provo, abbia più parte il sentimento mio proprio della nostra disgrazia comune, o la riflessione che fa nell’animo mio il dolor loro. Ma come potrei deciderlo, se la disgrazia è tanto grande, che io posso dire di non averla mai intesa bene, e di non intenderla ancora? Ho pianto macchinalmente, senza quasi sapere il perchè, senza nessun pensiero determinato che mi commovesse. Intanto Ella mi perdonerà se torno a pregarla di accettare qualche distrazione. Finché Dio ci vuole in vita, Ella è neces- saria a noi, e noi a Lei: dobbiamo aver cura alla nostra salute, non più per noi stessi, ma gli uni per amor degli altri. Io per causa mia propria le raccomando con tutto il cuore di acconsen- tire a trattar l’animo suo in modo, che la sua salute non ne pati- sca. E son certo che la mia cara Mamma e i miei cari fratelli le fanno, ciascuno in particolare, la stessa preghiera per causa loro. E probabile che la lettera al Cav. Rossi non sia stata riscossa da alcuno, e sia restata alla posta. Ho piacere che Ella abbia veduto e gustato il romanzo cristiano di Manzoni. E veramente una bell’opera; e Manzoni è un bellissimo animo, e un caro uomo. Qui si pubblicherà fra non molto una specie di continuazione di quel romanzo, la quale passa tutta per le mie mani.' Sarà una cosa che varrà poco; e mi dispiace il dirlo, perchè l’autore