Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/118

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ANNO 1817 - LETTERA 18 85 rea. Parlando di me posso ingannarmi, ma io le racconterò, come a me sembra che sia, quello che m’è avvenuto e m’avviene. Da che ho cominciato a conoscere un poco il bello, a me quel calore e quel desiderio ardentissimo di tradurre e far mio quello che leggo, non han dato altri che i poeti, e quella smania violentissima di comporre, non altri che la natura e le passioni; ma in modo forte ed elevato, facendomi quasi ingigantire l’anima hi tutte le sue parti, e dire fra me: Questa è poesia, e per esprimere quello che io sento | ci voglion versi e non prosa; e darmi a far versi. Non mi concede Ella di leggere ora Ornerò Virgilio Dante e gli altri sommi? Io non so se potrei astenermene, perché leggendoli provo un diletto da non esprimere con parole, e spessissimo mi succede di starmene tranquillo, e pensando a tutt’altro, sentire qualche verso di autor classico che qualcuno della mia famiglia mi recita a caso, palpitare immantinente e vedermi forzato di tener dietro a quella poesia. E m’è pure avvenuto di trovarmi solo nel mio gabinetto colla mente placida e libera, in ora amicissima alle muse, pigliare in mano Cicerone, e leggendolo sentire la mia mente far tali sforzi per sollevarsi, ed esser tormentato dalla lentezza e gravità di quella prosa per modo che volendo seguitare, non"poTèi, e cGèSi di mano a Orazio. E se Ella m! concede quella lettura, come vuole ch’io conosca quei grandi e ne assaggi e ne assapori e ne consideri a parte a parte le bellezze, e poi mi tenga di non lanciarmi dietro a loro? Quando io vedo la natura in questi luoghi che veramente sono ameni (unica cosa buona che abbia la mia patria) e in questi tempi spezialmente, mi sento cosi trasportare fuor di me stesso, che mi parrebbe di far peccato mortale a non curarmene, e a lasciar passare questo ardore di gioventù, e a voler divenire buon prosatore, e aspettare una ventina d’anni per darmi alla poesia; dopo i quali, primo, non vivrò, secondo, questi pensieri saranno iti, e la mente sarà più fredda o certo meno calda che non è ora. Non voglio già dire che secondo me, se la natura ti chiama alla poesia, tu abbi a seguitarla senza curarti d’altro, anzi ho per certissimo ed evidentissimo che la poesia vuole infinito studio e fatica, e che l’arte poetica è tanto profonda che come più si va innanzi pitì si conosce che la perfezione sta in un luogo al quale da principio né pure si pensava.1 Solo mi pare che l’arte non debba affogare la natura; e quell’andare per gradi e voler prima esser buon prosatore e poi poeta, mi par che sia contro la natura, la quale anzi prima ti fa poeta e poi col raffreddarsi dell’età ti concede la maturità e posatezza necessaria alla prosa. Non dona Ella niente niente a quella incus divivior di Orazio? Se 1 Questo fu da O. posto in pratica, specialmente nelle canzoni di tipo classico, ove attuò il concetto della poesia-stile.