Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/134

Da Wikisource.

ANNO 1817 - LETTERA 54 101 forestiere, e al Varchi clic dice come anche al suo tempo per imparare la favella fiorentina bisognava tratto tratto rimescolarsi colla feccia del popolazzo di Firenze. Ma poiché Ella non crede che gl’idioti fiorentini mi possano insegnar niente di buono, mi acquieto alla sua sentenza. E quanto all’accento, le dirò del mio Recanati cosa che Ella dovrà credere a me, perché della patria potrò per tropp’odio dir troppo male (e non so se questo pur possa), ma dir troppo bene per troppo amore non posso certo. Ella non può figurarsi quanto la pronunzia di questa città sia bella. È cosi piana e naturale e lontana da ogni ombra d’affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto più affettato, e i Romani senza paragone. Certo i pochi forestieri che si fermano qui riconoscono questa cosa e se ne maravigliano. E questa pronunzia che non tiene punto né della leziosaggine toscana né della superbia romana, è cosi propria di Recanati, che basta uscir due passi del suo territorio per accorgersi di una notabile differenza, la quale in più luoghi pochissimo distanti, non che notabile è somma. Ma quello che mi pare più degno d’osservazione è che la nostra favella comune abbonda di frasi e motti e proverbi pretti toscani si fattamente, che io mi maraviglio trovando negli scrittori una grandissima quantità di questi modi e idiotismi che ho imparati da fanciullo. E non mi fa meno stupore il sentire in bocca de’ contadini e della plebe minuta parole che noi non usiamo nel favellare per fuggire l’affettazione stimandole proprie dei soli Scrittori, come mentovato, ingombro, recare, ragionare ed altre molte, ed alcune anche più singolari di cui non mi sovviene. Questi modi e queste parole, caro Signor mio, con singolare mio diletto le farò osservare se Ella adempierà la bella speranza che mi ha data: e sarà questa una delle pochissime o niune cose (mi perdoni questo barbarismo) che le potrò mostrare in Recnnati. E potrebbe essere benissimo, perché io non sono uscito mai del mio nido, che quello che io credo proprio di Reeanati sia comune a tutta l’Italia o a molte sue parti, ed allora Ella mi disingannerebbe. Con questa speranza, benché lontana, la lascio, Signor mio carissimo, e spero che non avrò bisogno di ricordarle che sono, ma con tutto il cuore, il suo attaccatissimo Giacomo Leopardi. P. S. — Mi scrive lo Stella che ha ricevuto da Lei un involto per me. Se contiene, come spero, qualche suo scritto, gliene rendo un milione di grazie, e le prometto che, leggendolo subito, farò conto di trattenermi con Lei presente e parlante: pensiero che mi sarà soavissimo.1 1 V. la lettera precedente, dello Stella, p. 95, nota 5. 11 singolare è ohe nel 3° paragrafo della presente lettera (p. 98) G., ignorando che il pacchetto