Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/139

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EPISTOLARIO tore eli versi.! Ma il traduttor di Giovenale era un gesuita pavese.2 Pei’ la posta le ho mandato una mia difesa del Dionigi del Mai.3 Allo Stella consegnai il mio Panegirico, grosso volume. Giustissima è la sua osservazione che la stratta affinità della lingua italiana colla greca, tanto manifesta ne’ trecentisti, non poteva sentirsi ne’ cinquecentisti. Lodo sommamente oh’elln s’innamori do’ trecentisti; e col capitalo loro voglia tradurre prose greche. Ella che ha letto Demostene e il Segneri, ha notato conio la maniera della loro eloquenza è tutta tutta la stessa, benché io creda clic, il buon Segneri non sapesse punto di greco? Quel xi joti tovzo; si frequente in Demostene, è ima maniera frequonte del predicatore: e jioi in tutto paiono gemelli. Poich’ella è risoluta di conoscer bene i trecentisti, e non ricusa le utili fatiche, le consiglierei di leggere tutte le croniche italiane antiche le §uali sono nella grande raccolta del Muratori He: uni Italicarum; c nei ue tomi aggiuntivi in Firenze. Sono un gran capitale di lingua; un tesoro di fatti e di costumi onorevoli all’Italia quando la era giovani’ e forte. Son certo ch’ella se ne troverebbe contentissima. Quanto alla lingua familiare e popolare, ch’ella desidera apprendere, oltreché moltissimo se ne trova ne’ trecentisti, vi aggiunga il teatro comico Fiorentino, e la Tancia e la Fiera del Buonarroti; le Filippiche di Cicerone e di Demostene paionmi caldo e ardenti quanto qualsivoglia poesia. La ringrazio delle osservazioni su’ miei opuscoli. L’omettere l’articolo ai cognomi è mio errore, nato dalla mala consuetudine universale del franceseggiare in questo secolo, che l’uomo talora non se no accorge. Nel non pertanto come l’ho usato io nella Giorgi, ho seguitato l’autorità del 2° e doli’ultimo esempio della Crusca a quella voce. Nel primo, nel terzo e noi quarto è nel vero senso di nondimeno: negli altri due e nel caso mio ò nel senso di non per questa cagione; ed è senso bon diverso; com’ella intenderà bene, considerandovi un poco. Clii mai degli oruditi potrebbe filosofare con tanta e sottigliezza e delicatezza e sodezza com’ella fa sopra l’introdurre il brutto nelle imitazioni elio fanno lo arti Ecco la mia opinione. Vorrei che lo Arti si proponessero solamente di moltiplicare le imagini del hello, che naturalmente è raro; e di perpetuarle, poiché natnralmente sono transitorio. E il bello considero nei volti e nelle membra umane, nelle azioni degli uomini: ché la bellezza e la virtù sono le più rare e le più care cose del mondo. E gran benefizio delle arti è moltiplicarne le imagini, e prolungarne la durata. Una delle arti che è la poesia può talora anche ritrarre il contrario del bollo morale: ma al solo fino di purgare l’animo. Sonvi però certo bruttezze deformi e vili, che ancho il poeta dee sfug1 Questo professore, cugino del Giordani, fu a Pietro per più anni guida, conforto e aiuto nello turbinose vicendo della vita di lui. Dopo che quosti ebbe gettato il saio, mentre da un lato lo induceva n. mettersi in regola con la società civile e religiosa, cercava dall’altro di riconciliarlo con la famiglia e consigliava il padre di costituirgli il necessario patrimonio legale. Por agevolarlo, gli aveva ancho offorto in dono un suo podere. Pietro lo riconosceva come suo benefattore e suo secondo padre. E dopo la morte di lui, aveva incominciato a scriverò dei ponsieri frammentarii, da servire a un Elogio, che rimase, come tanti suoi disegni, allo stato di abbozzo. 2 Cfr. lett. 48, p. 84, nota 1. 3 È la «Lettera di Pietro Giordani al chiarissimo abate G. B. Canova sopra il Dionigi trovato dall’ab. Mai» (Milano, G. Silvestri, 1817), della quale gli aveva fatto cenno nella lett. 57.