Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/140

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ANNO 1817 - LETTERE 59-00 107 fire d’imitare. Veda in Omero; ei sono molti vizi magnanimi, ire, amizioni, amori: volendo dipingere il quadro della vita, bisognava non restarsi alle sole virtù. Ma della abietta e nauseosa viltà di un Tersito veda che si passò di nn solo esempio. Molte coso orrende atroci in Dante. Ma osservi che per voler dare un saggio di tutte le cose umane, pone anche un diverbio di quei due vilissimi idropici nell’Inferno: e per mostra ro il suo purgato giudizio, e la nobiltà del l’animo e della educazion sua, si fa riprendere da Virgilio d’essersi fermato ad ascoltarli, «Che voler ciò udire è bassa voglia». La viltà è verisimile; il bene imitarla è pregio di arte: ma l’arte dee cercare degni e non indegni soggetti. Il mio pensiero è che il brutto raro volte, e solo per grande utilità e por necessarie cagioni s’introduca nelle belle arti; alla cui bellezza non si può negare che molto conferisca il suggetto. Questo è il mio pensiero: il quale va modificato secondo le savissime e verissime considerazioni ch’ella mi fa. E io elico che se la tragedia trovata in Atene non avesso avuto il motivo importantissimo di far odiare i tiranni, come insopportabili agli uomini e odiosi agli dei; la tragedia sarebbe, una follia detestabile: e la commedia se non isperasse di correggere i minori vizi, col contraffarli o proporli alla publica derisione, la commedia saprebbe una maligna scurrilità. La lirica e l’epica, le quali si propongono i fatti e gli affetti o virtuosi o simiglinnti a virtù, sono l’anima e il cuore dolla poesia. Aspetto qualcosa pel Colombino. Pili di cento associati ho gin fatti per l’Italia: e nel ¡mese de’ preti non troverà un amatore, se non lo buona lingua, almeno la devozione Con tutto il cuore riverisco ed abbraccio il mio carissimo signor Contino, al quale senza fine raccomando di curar la sua saluto, e di rammentare la mia devota servitù al signor Conte suo padre. E Dio la riempia di allegrezza. 60. Di Angelo Mai.1 Milano 11 Giugno 1817. Mio carissimo ed egregio Sig.r Conte. Ella dice ottimamente in proposito del fare una qualunque risposta alla falsificazione Berlinese del Frontone,1 e forse ve ne sarà qualche occasione, benché ciò mi dia grandissima pena e per lo tempo ohe si gitta, e per lo dispiacere che comunemente si cagiona a chi per altro lo merita. Ma si uscrobbe somma moderazione, malgrado che quel libro sia non solamente erroneo, ma grandemente inurbano fino alla stravaganza. Or venendo al Dionigi, Ella avrà credo già in mano il bel libro di apologia scritto dalla valentissima penna del Sig.r Giordani, il quale mi disse che a Lei spedivalo sotto fascia per la posta.3 Ella potrebbe farne ottimo uso nella sua prefazione, ed in tal caso, meglio sarebbe1 mettere in due colonne i lunghi saggi della Epitome, cioè a destra I’ Epitome ed a sinistra la Storia, lasciando a destra in bianco dove l’Epitome manca. Cosi la cosa sarebbe più evidente. Cosi dove Giordani a f). 76 cita l’esempio recente del Pallavicini, si potrebbe premettere ’antico di Lattanzio che epitomò le sue istituzioni. Benché io non ho 1 Dall’autografo, nella Nazionale di Napoli. 2 V. lett. 58, paragr. 1°. 3 V. lett. 57: e 59, psragr. 3°, nota 3.