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Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/147

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114 EPISTOLARIO giovani, nessun desiderio mi ha fatto mai né mi può fare infelice, né anche quello della gloria, perché credo che certissimamente io mi riderei dell’infamia, quando non l’avessi meritata, come già da qualche tempo ho cominciato a disprezzare il disprezzo altrui, il quale non crediate che mi possa mancare. Ma mi fa infelice primieramente l’assenza della salute, perché, oltreché io non sono quel filosofo che non mi curi della vita, mi vedo forzato a star lontano dall’amor mio, che è lo studio. Ahi, mio caro Giordani, che credete voi che io faccia ora? Alzarmi la mattina e tardi, perché oro, cosa diabolica! amo più il dormire che il vegliare. Poi mettermi immediatamente a passeggiare, e •passeggiar sempre senza mai aprir bocca né veder libro sino al desinare. Desinato, passeggiar sempre nello stesso modo sino alla cena: se non che fo, e spesso sforzandomi e spesso interrompendomi e talvolta abbandonandola, una lettura di un’ora. Cosi vivo e son vissuto con pochissimi intervalli per sei mesi. L’altra cosa che mi fa infelice è il pensiero. Io credo che voi sappiate, ma spero che non abbiate provato, in che modo il pensiero possa cruciare e martirizzare una persona che pensi alquanto diversamente dagli altri, quando l’ha in balia, voglio dire quando la persona non ha alcuno svagamento e distrazione, o solamente lo studio, il quale perché fissa la mente e la ritiene immobile, più nuoce rii quello che giovi. A me il pensiero ha dato per lunghissimo tempo e dà tali martirii, per questo solo che in’ha avuto sempre e m’ha intieramente in balia (e vi rijieto, senza alcun desiderio) che m’ha pregiudicato ovidentemente, e m’ucciderà, se io prima non muterò condizione. Abbiate per certissimo che io stando come sto, non mi posso divertire più di quello che fo, che non mi diverto niente. In somma la solitudine non è fatta per quelli che si bruciano e si consumano da loro stessi. In questi giorni passati sono stato molto meglio (di maniera però che chiunque sta bene, cadendo in questo meglio, si terrebbe morto); ma ò la solita tregua che dopo una lunga assenza è tornata, e già pare che si licenzi, e cosi sarà sempre che io durerò in questo stato, e n’ho l’esperienza continuata di sei mesi e interrotta di due anni. Nondimeno questa tregua m’avea data qualche speranza di potermi rifare mutando vita. Ma la vita non si muta, e la tregua parte, e io torno o più veramente resto qual eia. Lasciamo queste ciarle, e non accade che mi rispondiate sopra questo argomento, del quale è noioso, e soprattutto eccessivamente inutile, a ragionare. Avrei carissimo che mi definiste il vostro ’perfetto scrittore italiano,J perché sono persuaso che per diventar mediocre bisogni mirare all’ottimo. Ma che cosa non avrei caro di sentire da voi, specialmente 1 Cfr. lett. 65.