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Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/176

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ANNO 1317 - LETTURE 89-91 143 bracciatelo caramente; ché io già lo amo, e come vostro, e corno degno di voi. Al signor padre ricordate la mia servitù. Avrò piacere che lette butte le lettere e le altre prose che vi nominai del Tasso, mi diciate come vi sia piaciuto. Parmi singolare per una sua propria dignità e quasi maestà di stile. Avete nessuna opera di Daniello Bartoli? ma voglio diro particolarmente le storiche; poiché in queste è maraviglioso lo stilo; nelle morali è pazzo. Se tra le storiche poteste leggere la Cina (sopra tutte) o VA sia o il Giappone, vedrete un mirabilissimo scrittore; un artefice incomparabile. Nel Dittamondo a me pare che non sia da trovar altro che erudizione ili lingua; e ciò quando no avremo una edizione corretta; poiché lo due antiche e rare sono bestiali. Del resto, di poesia non ci trovo nulla: e la sua erudizione a questi tempi riesce miserabile. Ben vorrei che leggeste il Tesoro di Brunetto, come la Enciclopedia di quel secolo. Niuna vita ho fatto né farò pel Bottoni; che è un tristo ciarlatano. E io che abborriseo la fatica, e non voglio far niente per me, figuratevi se voglio far qualche cosa per altri. Fra poco partirò per Milano; e anche di là vi scriverò: ma voi per pili sicurezza scrivetemi sempre a Piacenza. Conservatevi la salute, per quanto mi volete bene, e io no voglio a voi. Mi fareste disperare, se non foste sano e vigoroso. Vi abbraccio con tutto il cuore mille e mille volte. Addio amatissimo e preziosissimo Giacomino. Addio. &f. A Pietro Giordani. - Piacenza.1 Recanati 5 Dicembro 1817. Mio carissimo. Alle due vostre dell’1 e 6 Novembre risposi con una lunga mia.,2 e adesso rispondo all’altra vostra del 22.3 Del fratellone (non fratellino come voi lo chiamate, ch’egli è alto e fatticcione da metter paura a me scriateilo e sottilissimo) 4 v’ho parlato nell’ultima mia. Dei lavori miei presenti, de’ quali mi domandate, non vi posso dire altro se non che ora rimessomi alla peggio in un po’ di trista salute, vo leggendo i miei Classici, Greci la mattina, Latini dopo pranzo, Italiani la sera; e cosi penso di durare un altro annetto, non iscrivendo fuori che qualche bagattella che ho in testa, e limandone due o tre altre già fatte, dopo il quale, impratichitomi bene del greco e arricchitomi dell’oro dei Classici, fo conto di uscire in campo con una solenne traduzione (tanto solenne quanto posso darla io),5 e poi lasciar fare alla inclinazione e alla fortuna. Ma questo è veramente un fare il conto senza l’oste, e bisognerebbe che mutassero natura due cose in me variabilissime, la salute e il volere. Il Luglio passato, la lettura de’ trecentisti m’invogliò di 1 Dalla copia di Carlo, corretta da G., in casa Leopardi. 2 Quella dei 21 novembre (n. 88). 3 Che è al n. 89. 1 Nella copia era scritto «meschinissimo r, poi corretto da G. come nel testo. 6 Vedi quello che intorno a questa disegnata traduzione G. aggiunse nella lett. 95, e la nota 1 a p. 151.