Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/281

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246 EPISTOLARI!» }-r- Di Pietro Giordani. Piacenza 13 Marzo [1819J. Dunque ù inchiodato un qualche maledetto destino che dopo l’ultima 12 febraio ninna vostra lettera possa arrivaimi? 1 Certo mi sarà sempre impossibile cho voi stiate un mese sema scrivermi; e che tre lettere mie non vi impietosiscano di mandarmi una riga. Oh quanta invitta pazienza ci bisogna! Io sarei tanto consolato delle vostre lettere, né a voi sono discare le mie; e il bel governo ci fa disperare! 2 Se questa mia non se la porta il diavolo, ci troverete dentro una parola detta di voi dal Mai; ma degna e di voi e di lui.3 Vi mando la lettera da lui scrittami dopo aver ricevute le vostre stupendissime canzoni. Finalmente oggi m’arriva una lettera del 1° da Perticari; al quale avevo scritto (come vi dissi) per voi: dal Borghesi non ancora risposta. Ma certamente la colpa non è sua: forso non ebbe la mia lettera, perché mi manda saluti, e nulla d’aver avuto lettera. Perticat i con lunga e troppo vera enumerazione mi dimostra che tutti i buoni impieghi in Roma sono dei preti: e conchiude che il solo luogo non disconvenevole a voi sarebbe l’Accademia ecclesiastica: perché ivi si vive in comune con 14 scudi al mese; si gode molta libertà, si occupa sol qualche ora del mattino allo studio delle leggi, non ci è di prete altro che l’abito: e nondimeno è luogo di grandi speranze, perché di li il Governo trao nunzi, e prelati ec. Non so se queste ragioni potessero indurre vostro Pad re. 4 A voi certo basterebbe in qualche modo uscire di Recanati, vivere al largo in una gran Roma, conoscere e farvi conoscere da molti. in una Nota a dotti Commentarli, ua brano della lettera che il Borghesi gli aveva scritta sulla statua del sofista Aristide, e nello stesso tempo di fornirgli tutte quelle notizie sul Leopardi che potessero tornargli utili per un Discorso da premettersi a quella edizione. Il Borgliosi, circa le notizie sul L., gli rispose: «Pocho, e queste ordinariamente con l’intermezzo del comune amico P. Giordani, sono stato lo mie relazioni che ho avuto coll’esimio Leopardi. Esse non sono divenuto mai intime, parto perché non ho mai avuto la fortuna d’incontrarmi con lui, talché non l’ho conosciuto di persona, parto per la diversità de’ nostri studi. Egli spaziava per gli ameni campi della filologia, e si dilettava precipuamente della letteratura greca. Io al contrario, datomi interamente alla Btoria Romana della Repubblica e più dell’Impero, ho dovuto aggirarmi fra lo spino della critica e della cronologia, occupandomi specialmente delle medaglie o delle lapidi, che no sono la base la più sicura. Quindi non mi sono curato di sapere di Greco, so non quanto mi basta por il* tendere i monumonti o gli scrittori, che in quelita lingua hanno trattato in qualche modo delle cose Romane» (dall’autografo, nella Biblioteca comunale di Recanati). 1 G. gli aveva bene scritto il 19 febbraio (lett. 161), rispondendo allo giordaniano dei 3 e 5 febbraio; ma pare che quella lettera non dovette arrivare a destinazione. 2 La causa della disperazione doveva attribuirsi, oltre che al t governo • politico, ancho un po’ al «governo» di casa Leopardi. 3 Allude al paragrafo della lettera del Mai, da me riportato nella nota 4, p. 239, alla lett. 168, cho il Giordani mandò a G. in autografo, come dice subito dopo. 4 Proprio lo medesime cose aveva ripetutamente scritte Carlo Antici a Monaldo; ma senza nessun frutto.