Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/289

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254 EPISTOLARIO già ch’egli non muove un dito per aiutarmi; piuttosto si moverebbe tutto quanto per impedirmi. Ora vedete che cosa posso far io, non conosciuto da nessuno, vissuto sempre in un luogo che senza il Dizionario non sapresti dove sia messo, disprczzato come fanciullo, avendo per favore segnalatissimo una riga di risposta dove mi dicano che non hanno tempo da badarmi. Dirò un’altra cosa. L’esser tutto il meglio per li preti, mi par che mi faccia piuttosto in favore che contro, atteso ch’io certo non voglio esser prete, ma l’abito, come l’ho portato finora, cosi posso continuare a portarlo qualche altro tempo, e a Roma, particolarmente nei principii, non si domanda altro che l’abito. Il fatto sta che qualunque luogo mi dia tanto da vivere mediocrissimamente sarà convenientissimo per me, né io penso di poter uscire di questa caverna senza spogliarmi di molte comodità che non mi vagliono a niente senza l’aria e la luce aperta; io voglio dire la vista e il commercio di quel mondo e di quegli uomini fra’ quali io son nato, e la conversazione di gente che dia mostra di vivere, e quel ch’è più, d’avere intelletto, il quale se in pochi sarà splendido, certo in niuno può esser cosi rugginoso e negletto coni’ è fra noi. Carlo vorrebbe sapere, non già precisamente, ché questo s’intende bene che non lo potete sapere nemmen voi, ma in genere, se stimate che la milizia di Torino che gli proponevate poco addietro, possa provvederlo subito di tanto che basti per vivere, benché strettissima mente, a ogni modo senza mancare del bisognevole. Ma oramai mi vergogno di parlar tanto di noi. Delle vostre brighe e malinconie vorrei che mi diceste come vadano. Mio caro, io sento riaprirmi l’anima al ritorno della primavera, ché certo due mesi addietro, era stupido oppresso insensato in modo, ch’io mi facea maraviglia a me stesso, e disperava di provar più consolazione in questo mondo. Senza fallo io spero che vi sentiate meglio anche voi, contemplando questa natura innocente, fra la malvagità degli uomini, dei quali, o mio dolcissimo, io non vedo poi che vi dobbiate dar tanto pensiero se vogliono essere scellerati. Basta che voi siate più diverso da costoro che la luce dal buio, né vi manca uno che amandovi più di se stesso, è risoluto mentre 1 viva di imitarvi. Cosi Dio lo salvi dalla pestilenza, e non si guasti col tempo quello che dovrebbe prosperare, io dico i semi della virtù che s’è studiato2 di raccorre nella giovinezza. Del vostro Discorso non vi scrissi più che tanto, perché da un giorno all’altro voglio metter mano a dirne quel che saprò in un articolo da mandarlo, come vi dissi, a Roma al Perticari, che mi vuole nel numero de’ corrispondenti del suo Gior1 Nella copia «finché». - Nella copia «ha procuralo».