Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/360

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ANNO 1819 - LETTERE 212-243 325 243. Di Pietro Caddi.1 Porto di Fermo 30 Decembre [1819]. Perché ho assai graditi gli augurii che voi carissimo amico mi avete spinti,2 ed acciò conosciate quanto io vi corrisponda, scrivo dal letto e con mano tremante da che un forte insulto nervoso che per due giorni minacciò la mia vita, mi obbliga ancora a somma cautela; sono perciò debolissimo di fisico, e di mente, né posso scrivervi quanto vorrei. In mezzo a ciò, od ai gravi dispiaceri che soffro, e che vostro Padre ha già dimenticati, procuro di rassegnarmi a ciò che non dipende da me, e vivo tranquillo quanto lo permette la misera condizione umana, e l’ordine delle cose troppo moderne per chi ha provato il mondo vecchio assai più conveniente all’uom d’onore e di carattere. Voi siete assai giovine, ed io m’investo dal vostro ardore per il ben pubblico, né disapprovo la malinconia che soffrite per non potere esercitare quell’at tività alla quale aspirate: dall’altra parte se considero le circostanze dei tempi, quelle della famiglia, e specialmente lo stato della vostra salute, vi confesso che non vedo come potreste aspirare alle pubbliche cose, senza esporvi a risultati molto più funesti della noia che vi divora. Un’anima come la vostra ha mille risorse in se stessa, né può, se vuole, annoiarsi giammai, e dirò di più, che se anche vi trovaste in mezzo al vortice del mondo, oltre le fatiche, i disgusti, e le spese, provereste noie maggiori nel commercio di egoisti, che col pretesto d’illuminare e riformare, altro non cercano che l’ambizione di comandare, e di far fortuna a danno della Società, che turbano con mille illusorie chimere. D’altronde quali sono i Governi che possano compensare le fatiche secondo il vero merito? e quale poi sia la misura di questo merito è un problema tale, che non è cosi facile a spiegarlo: vi dirò di più, che nel conflitto delle nuove idee colle massime dei Governi, vedo che li cosi detti zelanti per illuminare si sono resi giustamente odiosi, e se non sono puniti e raffrenati, sono però sospettissimi, e sorvegliati. 1 Dall’autografo, in casa Leopardi. Pubblicata parzialmente dal D’Ancona in Nuova Antologia, anno XIII, fase. XX. 11 conte Pietro Gaddi, fuggito di casa a quindici anni per arruolarsi in Austriu, e daU’Austria poi ceduto al Papa alla morte del Colli, in qualità di tenente generalo e comandante di tutte lo armi pontificie; se era un fiore di sanfedista e incapace di comandare in capo un esercito, era tuttavia compito e onorato cavaliere; e quando nel 1796 Monaldo gli si presentò per fare arruolare il fratello Vito, concepì per lui una particolare simpatia e amicizia, che si protrasse inalterata fino alla sua morte, avvenuta il 1823 al Porto di Formo. Pel matrimonio di Monaldo con Adelaide, il Gaddi da Firenze si congratulò con lettera cordialissima, lieto anche che l’avversione della contessa Virginia e dai parenti Leopardi a quel matrimonio, inasprita da «relazioni alterate di sciocchi amici», si fosse subito dileguata. E come col padre, cosi pili tardi entrò in amicizia anche coi figli; e pare che avesse saputo conquistarsi, o credesse essersi conquistata, una certa fiducia da parte di Giacomo, so, o spontaneo o sospinto, s’indusse a scrivergli questo pistolotto esortativo, che non doveva sortile effetto diverso dalla famosa lettera di Carlo Antici (num. 144) e fors’anche da quella di Saverio Broglio sulla fuga (num. 226), la quale in forma letteraria molto più tersa e corretta di questa del Gaddi dice tuttavia parecchie cose somiglianti. 2 Questa lettera di Giacomo manca.