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studio d’Archimede, e a Montecuccoli, e a Turrena terribili Scipioni in campo illustre di Marte, e magnifici Luculli nei cari ozi della pace. Se poi od un Principe, o ad un Federico, mi sarebbe stato d’uopo colla penna di Racine, con quella medesima penna che fu la delizia della Corte di Luigi XIV, ritrattar questo Sovrano come il Filosofo del suo Secolo, o come lo specchio dei Principi agl’occhi puranco del più rigido Aristarco; in ciò oh! la strana vilenza (sic), che avrebbe soferta la mia indole, e il buon senso! Qual vasto apparato di favole milesie, o di gotica barbarie avrei dovuto pingere con affettati colori per far scender Tersite dalla stirpe d’Achille, e Marsano dal sangue di Rinaldo! Ma io scrivo ad un giovane valoroso, che spinge rapidi e franchi i nobili suoi passi, per la cariera (sic) di Minerva ed Appolline (sic), traendo i suoi giorni fra il lume, che trasparve un dì dalle selve del Tuscolo, ed Arcadia; io scrivo ad un Genio, che tutte abborrisce le lodi cortigiane, e fallaci, e tutta comprende l’effemminata galanteria dei nostri petis (sic) Maitres piena d’inutili smorfie, di simulate espressioni, o insieme di mordaci censure por Madama, e per Monsieur. Laonde gli dovrei dir con Orazio,

Si potes arcaicis conviva recumbere lectis,
Nec modica cenare times olus omne patella
Supremo te Sole dorai, Torquate, manebo.


Invito capace a lusingare puranche lo stoico Epitteto. Ma io ancor non son degno di un discorso così famigliare, e sol mi appago per ora di nuovamente rinovar le proteste di rispetto, e di stima, che sincero il mio animo a Lei tributa; assai felice se potrò ottenere il suffragio di Colui, che nei più alti gradi della scienza umana avrà meritato un giorno l’ammirazione, e l’applauso di tutta l’Europa. Suo devotissimo Servitore.

5. All’abate Francesco Cancellieri. - Roma.1

Recanati 15 Aprile 1815.

Stimatissimo signore. Avendo intoso ch’ella si era compiaciuta di destinarmi in dono una sua nuovissima opera, io mi disponeva

  1. Pubblicata primamente da G. Cugnoni, in Opere inedite di G. L. (Halle, 1878, vol. I). — L’abate Francesco Cancellieri, romano (1751-1826), fu una curiosa figura di erudito, che scrisse di tutto un po’, senza limiti né discernimento, in una enorme quantità di opuscoli e volumi, in italiano e in latino, in prosa e in versi; formandosi così la riputazione d’uno de’ più saccenti che fossero in Roma. Elegantissimo, tanto da essere soprannominato dalle signore romane «il bello abate», fu segretario del generale Suvaroff, rappresentante in Roma l’imperatrice Caterina, poi segretario di Don Abbondio Rezzonico, poi coppiere e bibliotecario del card. Leonardo Antonelli che lo fece padrone della sua copiosissima biblioteca. In seguito fu nominato Soprintendente della Stamperia della Sacra Congregazione di Propaganda, e Pro-Sigillatore della Sacra Penitenzieria: e anche questi due uffici gli accrescevano importanza, e gli offrivano occasioni a contrarre amicizie con persone illustri e letterate, alle quali si faceva un pregio di render servigi. Abbastanza vano e parolaio, se si vuole; ma in fondo buono e ossequioso. E tale s’era mostrato verso Giacomo, anche prima di conoscerlo personalmente, per riguardo al marchese