Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/45

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16 EPISTOLARIO di produrre dei veri, e sodi vantaggi per i nostri amatissimi simili, che esiggono dal nostro cuore, e dalla nostra buona volontà i pili grandi sacrifizi, mi consolo di una cosa, che mi amareggerebbe, mentre rifletto ancora che tutti quelli che hanno voluto travagliare per il bene dello stato, o per farsi un nome che viva onorato, e caro nella memoria dei posteri, hanno dovuto far sacrifici molto maggiori. L’interesse vivissimo che io prendo per tutto ciò che riguarda il bene della sua persona non le può essere ignoto. Io dubito se ella stessa ne abbia tanto per se medesima. Ella conoscerà che io non esagero quando le dico, che ciò che le avviene di dispiacevole, e che giunge a mia cognizione mi rende inquietissimo, e mi turba grandissimamente.1 Sarei bene afflitto se potessi sospettare che ella dubitasse della mia corrispondenza alla tenerezza, che ella ha per noi. TI solo ricordarmi questo mio dovere ò un rimprovero per me, mentre mi fa credere di aver dato luogo a qualche sospetto sopra materia troppo gelosa. Ciò mi avverte però ad esser più cauto nell’avvenire. La posso assicurare che i sentimenti che le ho espressi sono communi a tutti i miei fratelli, in ispecie a quello che io conosco pili ripetutamente alzava la voce per distaccare il figlio «lai libri, die spesso gli bisognava «prendere il tuono serio» per farsi obbedire; ma che G. era cosi «affamato di studio», che nulla gustava all’infuori di esso. — D’altra parto Giacomo, almeno in questo tempo, sentiva egualmente il vuoto per l’assenza del padre; conio è provato da questa lettera, elio ha un’intonazione di sincerissimo e tenero affetto. 1 Allude ni dissapori e contrasti fra Monaldo e Mons. Ti beri circa i metodi di governo. Il Tiberi, zelatore focoso di tutto ciò ch’era in piedi anteriormente agli eccessi dei francesi, fin dai primi momenti del suo governo, s’era dato a smantellare l’edificio da quelli innalzato. F. Monaldo, che pareva dovesse battergli le mani, egli che non vedeva troppo di buon oeehio le casse di risparmio, gli asili d’infanzia, le strade di ferro, perché cose» nuove»; trovandosi ora, se non a governare, a dar consiglio a chi governava, aveva smesso della sua fierezza conservatrice, ed erasi convertito a qualche idea, la quale, lontano da quel posto, gli sarebbe parsa sacrilega, o poco meno. Ciò non vuol dire ch’egli si fosse d’un tratto convertito al liberalismo. Ma non approvava nel Delegato Apostolico la mancanza d’ogni spirito di perdóno, di conciliazione 0 di pace, che do) resto erano ispirato anche dal Governo di Roma. D’onde 1 contrasti, e l’impossibilità per Monaldo, tenace com’era nelle sue opinioni e goloso della sua indipendenza, di perseverare in quell’ufficio. Ma, prima di abbandonarlo, egli ebbe il coraggio di denunziare apertamente e in iscritto i sistemi di quel Governatore al Segretario di Stato card. Consalvi; e non ostante una garbata o riguardosa risposta di quello in cui lo esortava a. recedere dal pensiero della dimissione, e non ostante la certezza di cagionare un grave dolore al cognato Carlo, che pure lo aveva insistentemente pregato a tenersi fermo nel posto e nello stipendio, dopo soli tre mesi tornò di nuovo alla sua Recanati, in seno alla famiglia, ad essere Leopardi; rinunziando ad ogni suo vantaggio presente e futuro, o mostrando ad amici e nemici ch’egli non era uomo da servire, per una buona pagnotta, qualunque padrone.