Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/84

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ANNO 1817 • LETTERA 27 51 ben so che appena a due o tre altri potrei rivolgermi in Italia se non mi volgessi a lei. Il che è gran tempo che bramo di fare, ma non ho ardito mai, ed ora fo con tema pigliandone l’opportunità dal libro che le sarà offerto in mio nome dal sig. Stella.1 E per prima cosa la prego caldissimamente che mi perdoni l’audacia di scriverle il primo e d’aggiugnerle il carico d’un libro, né voglia punirmene con recarsela ad offesa. Il libro stesso, mostrandole la mia miseria, mi punirà. Tolga Iddio ch’io le ricerchi il suo giudizio su di esso. Ben le dico quanto si può sinceramente quello che già le sarà notissimo avvenire come a me a molti altri, che io, sapendo sopra qualunque opera letteraria il parere anco di venti letterati, fo conto di non saper nulla quando non so il suo. Né sono si scempio che non conosca valere assai più una sua riprensione, che la lode di cento altri; ma anco per riprendere bisogna leggere, e In lettura di un mii Ecco il terzo dono del 11 deH’i5ne«/e, o la prima letUru del litto ed intimo carteggio tra Giacomo e lo scrittore piacentino. Pietro Giordani (17741848) godeva allora insiomo col Monti il titolo incontrastato di dittatore letterario, riconosciutogli anche da quelli che militavano in campo opposto, perché molti concetti fondamentali di lui in fatto di letteratura, arte e critica non discordavano essenzialmente dai loro; ed egli fu del Manzoni entusiastico ammiratore o banditore, non mano forfie che del Leopardi. Se non che per quest’ultimo si aggiunse un affetto, che a taluno potè parere esagerato, laddove era’frutto, di una compassione vera e profonda; e tale si mantenne finché i due ebbero occasione di scriversi o di vedersi. Poi, i casi della vita, la lontananza, i dolori parvero intepidire alquanto nel piacentino l’amore pel recanatese; finché, dopo la morte di questo, il Giordani a torto si lamentò di lui col Brighenti, come di egoista, ambizioso e poco sincero. Ma oiò devesi forse più al carattere ombroso, contrndittorio e impulsivo di lui, che non a diminuzione di stima e di affetto’. È certo tuttavia che Tessersi quasi umiliato davanti al suo Giacomino, ^essersi proclamato inferiore a lui, non gli poteva accordare il diritto di stracciarne ila ultimo, sebbone in privato, la memoria.— L’ingegno del Giordani, e l’autorità grandissima che godè, avrebbero potuto indurlo a creare una qualche grande opera, da lasciare alla posterità. E i mezzi e gli agi di lavorare non gli mancarono; anzi ne ebbe molti più che non no avesse avuti il Leopardi. Pure, se ontrambi lasciarono numerosi «disegni» di opere, non può dirsi che gli scritti del piacentino, con tanta fatica e tempo elaborati, possano stare a confronto dei pochi, ma veramente grandi e immortali di Giacomo. Con ciò non si vuol negare o attenuare il merito grandissimo che il Giordani ebbe nell’aver restituito all’Italia il gusto dello buone lettere e nell’infonderle vigore civile. E appunto per i suoi sentimenti civili l’Ambrosoli l’esaltava tanto, da scrivere che i posteri l’avrebbero ammirato più lungamente e più giustamente che non avrebbero fatto col Leopardi; ■ perché non si gettò, come questo, a dire impossibile ogni bene al mondo», e mentre dissipava, al pari di lui, le illusioni, svelò insieme, come cause dei mali che opprimevano l’uomo, la nequizia dei forti e la stoltezza dei deboli. — È curioso il fatto che il Giordani osordi come scrittore nel 1806 rivolgendosi a Napoleone sotto il nome di Giovanni Antolini archiutto, e chiuse dopo quaranta anni nel 1846 rivolgendosi alla vedova imperiale in persona eli Paolo Tornili incinon.