Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/22

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DI GIACOMO LEOPARDI. XV si diffidò d’oltrepassarlo; poi, scambiato l’effetto colla causa, sentenziò che il dolore solo era il vero. E come aveva letto il dolore in tutti; e cantalo il dolore da per tutto; spiegò il tutto col dolore. Applicando il suo prodigioso intelletto all’ universo, egli segui l’ordine stesso che aveva seguito quando v’applicò la fantasia; e, nelle sue Operette morali e nella sua Comparazione di Bruto minore e di Teofrasto, egli spiegò col dolore prima il mondo intellettuale estrinseco, poi il mondo intellettuale intrinseco e poi il mondo materiale. Stanco alla fine da un così affannoso e sterminato viaggio, fatto già quasi insensibile alle loro punture, s’adagiò sulle spine stesse del suo dolore; e risolute le tre scienze, onde aveva tentato l’universo, come in una vasta pozione sonnolenta, vi bevette a larghi tratti l’ob- blio' di tutto l’ente e di se stesso. Ultimamente, smaltita la fiera bevanda, si ridestò; e della potente assimilazione di quella si valse a sorridere, ora sdegnosamente, ora mestamente, ora amaramente, del tutto. I Pensieri e i Paralipomeni (4) sono la manifestazione di questo triplice e spaventevole sorriso (5). Tale fu l’ingegno del Leopardi, e tale la sua storia, considerato nella sua sostanza o, se eziandio si voglia, nella sua forma intrinseca. La forma estrinseca, nella quale esso si manifestò agli altri uomini, fu la più bella che fosse mai assunta dalla più bella lingua parlata. Egli scriveva greco, latino e italiano antico da mentire un antico: e come nel 17 i filoioghi tedeschi avevano tolte per antiche e vere due Odi greche (l’una ad Amore e l’altra alla Luna) e un Inno a Nettuno, medesima¬