Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/29

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XXII INTORNO AGLI SCRITTI, ALLA VITA EU AI COSTUMI preziosi tesori, le sue poesie e le sue prose nella bella edizione che ne diede, e il suo alto dolore nell’affettuosa lettera che vi prepose. Ma nè gli amici, nè la primavera o la state, nè la Toscana stessa e i suoi incanti, valsero a fermare o a pur mitigare l’improba mano della matrigna natura, che veniva da se stessa spietatamente distruggendo il più delicato de’ suoi lavori. Il male del Leopardi era indefinibile, perchè consistendo nelle più riposte fonti della vita, era, come la vita stessa, inesplicabile. Le ossa si rammollivano e disfacevano ogni dì più, e negavano il loro ancorché debole sostegno alle misere carni che Io ricoprivano. Le carni stesse dimagravano e isterilivano ogni dì, perchè i visceri del nutrimento ne rifiutavano loro l’assimilazione. I polmoni, stretti in troppo angusto spazio, c parte non sani, si dilatavano a fatica. A fatica il cuore si sprigionava dalla linfa onde uno stanco riassorbimento lo gravava. Il sangue, che mal si rinnovava nello stentato ed affannoso respiro, si rivolgeva freddo, bianco e lentissimo per le vene affievolite. E, in somma, tutto il misterioso circolo della vita, che a così grande stento si moveva, sembrava ad ora ad ora di dover fermare per sempre. Forse che la grande spugna cerebrale, principio e fine di quel misterioso circolo, aveva succhiato prepotentemente tutte le forze vitali e consumato, ella sola, e in poco d’ora, quel ch’era destinato a bastare, e per gran tempo, al lutto. Ma, che che si sia, la vita del Leopardi non era più un correre, come in tutti gli uomini, ma più veramente un precipitare verso la morte. Valicato, per un gran mare di dolore, materiale ed