Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/30

Da Wikisource.

DI GIACOMO LEOPARDI. XXIII intellettuale, tutto l’inverno fra il 30 o 11 31, afferrò l’invocata primavera; e parve ancora qualche momento risorgere. Ma la soprav vegnente state 1’ aggravò si fattamente, che 1’ approssimare dell’ autunno e, più ancora, dell’altro inverno, em^ì gli amici di spavento. I quali consigliatolo di ridursi a passare in Roma le due temute stagioni, vi si ridusse docilmente ai primi dì dell’ ottobre. E sospirata alcun dì la grazia e la leggiadria toscana, dopo che si fu riavuto e rifatto di quell’aria e di quella luce, ricominciò l’antico vagare per quelle eterne bellezze, e, un di, pronunziò sorridendo, che s’era riconciliato con Roma. Non gli accadde, a questa volta, di fremere o di piangere, perchè l’età del fremito e del pianto era fuggita: ma sorrideva amaramente del tristo fine a cui riesce ogni cosa più grande e dei fastidiosi e lugubri vermi che si generano dalla putrefazione dei più nobili cadaveri. E nondimeno non conobbe mai una primavera toscana chi non intende che ai primi fiori ch’egli vide spuntare fra quelle ruine, desiderò irresistibilmente di ricondursi in Firenze, dove giunse in effetto sul primo appropinquare dell’ aprile. Quivi, finché i germi di vita e di sanità che gli si erano innestati nel mezzodì, prosperarono, traversò re- cipientemenle la primavera e la state. E fu talora che, nell’ ebbra stupefazione di quell’ aure odorose ed incantatrici , sospirò l’ultima volta a una felicità sovrumana alla quale non giunse mai nessun uomo, e dalle cui ombre ( quando l’autunno e il verno ebbero mortificate quell’ aure e consumati e uccisi quei germi ) precipitò nelle più atroci realtà dell’ inesorabile morbo che lo distruggeva.