Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/31

Da Wikisource.

XXIV INTORNO AGLI SCRITTI, ALLA VITA ED AI COSTUMI Se Roma ha potuto tanto, che cosa non potrà Napoli?... Questo fu il pensiero che soccorse alla mente de’suoi medici e de’suoi più affezionati amici, in tanta disperazione d’ogni altro umano rimedio. Nè egli fu già duro o indocile al loro affetto: e, scampato, come per miracolo, dai rigori dell’inverno, e veduto nella primavera e nella state seguente, che nè quei fiori nè quelle grazie erano più bastanti a mitigare la fierezza de’suoi mali, in su i primi dì di settembre del 33 si partì, che sentiva tuttavia di febbre, di Firenze, e, venuto a piccolissime giornate per la via di Perugia, lasciò la febbre agli alberghi, e pervenne, mediocremente sollevato, in Roma. Quivi dimorò il rimanente del settembre; ed, abbracciato, per l’ultima volta, il suo amorosissimo cugino Melchiorri, giunse in Napoli il secondo dì dell’ ottobre. Quivi è incredibile a dire quanto si confortasse e si ricreasse di quella stagione dell’aere e di quel vivere rigoglioso ed allegro. Abitò comunemente il poggio sub- urbano di Capodimonte; se non se il maggio e l’ottobre, che si riduceva a un casinuccio in su le falde del Vesuvio. Minacciato, per istrana vicenda, ora di tisico, ora d’idropisia, schermiva alternatamente l’una colla sottigliezza dell’ aria del Vesuvio, l’altro colla dolcezza dell’aria di Capodimonte. Passeggiava ora per Toledo, ora lungo il curvo e spazioso lido del mare. Visitava assai frequentemente ora Mcrgellina e Posilipo, ora Pozzuoli e Cuma. Scendeva da Capodimonte alle catacombe, e dal Vesuvio a Pompei o ad Ercolano: e come in Roma aveva apostrofato agli antichi o in mezzo al foro o sotto gli archi trionfali, quivi ragionava dimesticamente con