Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/34

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01 GIACOMO LEOPARDI. XIVII buoni. Tradito e disingannato del soverchio che n’aveva sperato, concluse da ultimo eh’ erano in tutto cattivi. E solo la prematura morte l’impedì di giungere a quella terza e riposata disposizione d’ animo per la quale avrebbe estimati gli uomini, quel che veramente sono, nè in lutto buoni nè in tutto cattivi. Gli estremi stessi, nell’ apparenza inesplicabili, ai quali trasandava nel suo vivere pratico e cotidiano,come l’usar troppo o troppo poco il cibo, la luce, l’aria, il molo, la conversazione degli uomini e somiglianti, erano, nell’esistenza, il più vivo e vero testimonio dell’ innata ed angelica bontà dell’animo suo; perchè tentava, per le più opposte vie, la nemica natura, se mai avesse potuto impetrarne l'adito nella grande armonia e nell’ universale amore di tutto il creato, onde il tremendo prestigio del suo immenso dolore gli aveva dato a credere d’essere stato fatalmente escluso. Che se nè quel dolore né quel prestigio fu sanabile, ne maraviglino solo coloro che, nel giudicare i grandi uomini, non guardano nè ai tempi, nè ai luoghi nè alle complessioni, e non sanno presupporre; quel che sarebbero stati o Alessandro o Cesare o Napoleone, se fossero nati nelle condizioni del Leopardi. Questi fu di statura mediocre, chinata ed esile, di colore bianco che volge al pallido, di testa grossa, di fronte quadra e larga, d’occhi cileslri e languidi, di naso profiìlalo, di lineamenti delicatissimi, di pronunziaziono modesta e alquanto fioca, e d’ un sorriso ineffabile e quasi celeste. Il suo cadavere, salvato, come per miracolo, dalla pubblica e indistinta sepoltura dove la dura legge della XXVIII INT