Pagina:Leopardi - Operette morali, Chiarini, 1870.djvu/23

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DIALOGO.

XIX


naturalissime, e che perciò fa opera contro natura chi punisce i malvagi; perchè applicata alla vita, questa sarebbe una pessima dottrina morale, si potrebbe giustamente condannare di falso il giudizio da cui fu derivata? Il filosofo, che vuole esser degno di questo nome, dee procedere alla ricerca delle verità senza preoccupazione veruna, senza domandarsi prima quali saranno gli effetti di essa. Trovata la verità, deve a questa adattare la morale. Accomodare i propri giudizi ad un fine già disegnato non è cercare la verità, è un voler dare ad intendere a sè ed agli altri che sia verità ciò che piace o giova di creder tale. Questa è pur troppo la filosofia di molti ai giorni nostri; ma non fu quella di Giacomo Leopardi. Spogliatosi di tutte le opinioni acquistate nella fanciullezza per fede cieca all'autorità, e ritenute alcun tempo per assuefazione, egli si pose, solo con la portentosa sua mente e cogli studi suoi anche più portentosi, in faccia alla natura; guardò i fatti senza timore, e quali gli si mostrarono li affermò francamente; esaminò i giudizi degli uomini che lo avevano preceduto, e paragonandoli ad essi fatti e sottoponendoli al suo ragionamento, o li accolse, o li rigettò, o li modificò, o ne sostituì ad essi de' suoi, come il ragionamento gli suggeriva; cercò per ultimo le ragioni, e non trovandole, e le trovate dagli altri stimando o assurde o niente più che ipotetiche, disse a sè medesimo, qui è il confine dell'umano sapere. Per questa via si condusse a formare ed esprimere i suoi giudizi intorno alle cose; e poichè essa a me pare la sola per la quale si possa negli studi speculativi approdare a verità, voi intenderete facilmente essere anche questa una delle ragioni che mi fanno tenere come molto probabile la sostanza della filosofia leopardiana.