Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/13

Da Wikisource.

ix


alla pioggia; non per animo duro e spietato, ma non pensandovi, o non misurando colla mente il loro disagio. E stimava che negli uomini l’inconsideratezza sia molto più comune della malvagità, della inumanità e simili; e da quella abbia origine un numero assai maggiore di cattive opere: e che una grandissima parte delle azioni e dei portamenti degli uomini che si attribuiscono a qualche pessima qualità morale, non sieno veramente altro che inconsiderati.

Idee che fin dall’11 settembre 1820 il Leopardi aveva sbozzate nello Zibaldone dei suoi Pensieri, scrivendo:

La negligenza e l’irriflessione spessissimo ha l‘apparenza e produce gli effetti della malvagità e brutalità. E merita di esser considerata come una delle principali cagioni della tristizia degli uomini e delle azioni. Passeggiando con un amico assai filosofo e sensibile, vedemmo un giovinastro che con un grosso bastone, passando, sbadatamente e come per giuoco, menò un buon colpo a un povero cane che se ne stava pe’ fatti suoi senza infastidir nessuno. E parve segno all’amico di pessimo carattere in quel giovane. A me parve segno di brutale irriflessione. Questa molte volte c’induce a far cose dannosissime e penosissime altrui, senza che ce ne accorgiamo (parlo anche della vita più ordinaria e giornaliera, come di un padrone che per trascuraggine lasci penare il suo servitore alla pioggia ec.), e avvedutici, ce ne duole; molte altre volte, come nel caso detto di sopra, sappiamo bene quello che facciamo, ma non ci curiamo di considerarlo e lo facciamo cosí alla buona; considerandolo bene, noi non lo faremmo. Cosí la trascuranza prende utto l’aspetto e produce lo stessissimo effetto della malvagità e crudeltà, non ostante che ogni volta che tu rifletti, fossi molto alieno dalla volontà di produrre quel tale effetto, e che la malvagità e crudeltà non abbia che fare col tuo carattere1.

Voltando appena pagina, nell’Ottonieri si torna a leggere:

Ho udito anche riferire come sua, questa sentenza. Noi siamo inclinati e soliti a presupporre in quelli coi quali ci avviene di conversare, molta acutezza e maestria per iscorgere i nostri pregi veri, o che noi c’immaginiamo, e per conoscere la bellezza o qualunque altra virtù d’ogni nostro detto o fatto; come ancora molta profondità, ed un abito grande di meditare, e molta memoria per considerare esse virtù ed essi pregi, e tenerli poi sempre a mente: eziandio che in rispetto ad ogni altra cosa, o non iscopriamo in coloro queste tali parti, o non confessiamo tra noi di scoprirvele.

  1. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, I, 334-5.