Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/18

Da Wikisource.

xiv

venti, composte tutte di seguito in un anno di lavoro felice, furono dall’autore scritte e considerate come parti d’un solo tutto. E quando ebbe in ordine il suo manoscritto completo, escluse che le singole operette potessero venire in luce alla spicciolata. Nel novembre del ’25 sperò poterle pubblicare nella raccolta delle sue Opere, che un editore amico voleva fare allora in Bologna; e, andata a monte quell’edizione, fece assegnamento sugli aiuti efficaci del Giordani, al quale consegnò il manoscritto affinché gli trovasse un editore: con tanto desiderio di vedere stampata la sua opera, che il 16 gennaio del ’26 già scriveva impazientito al Papadopoli: «I miei Dialoghi si stamperanno presto, perché se Giordani, che ha il manoscritto a Firenze, non ci pensa punto, come credo, io me lo farò rendere, e lo manderò a Milano»1. Ma da Firenze scrivevagli il Vieusseux il primo marzo: «Giordani, usando della facoltà lasciatagli, mi passò il bel manoscritto che gli avevate confidato, dal quale abbiamo estratto alcuni dialoghi, che troverete riferiti nel n. 61 dell‘Antologia, ora pubblicato, ch’io ho il piacere di mandarvi. Graditelo come un pegno del mio fervido desiderio di vedere il mio giornale spesso fregiato del vostro nome; e più del nome ancora, dei vostri eccellenti scritti. Sento che queste Operette morali verranno probabilmente pubblicate costà, e ne godo assai pel pubblico, e per voi, tanto più che sembrano meglio fatte per comparire riunite in una raccolta, che spartite in un giornale»2. Quella prima pubblicazione dunque, non fu altro che un saggio. Del quale il 5 giugno il Leopardi scriveva all’amico Puccinotti: «I miei Dialoghi stampati nell’Antologia non avevano ad essere altro che un saggio, e però furono così pochi e brevi. La scelta fu fatta dal Giordani, che senza mia saputa mise l’ultimo per primo3»: affermando così che tra i suoi dialoghi c’era un ordine, e ciascuno doveva tenere il suo posto.

  1. Lett. del 9 nov. al fratello Carlo, in Epist., II, 47.
  2. Nell’Epist. del L., III, 237-8.
  3. Epist., II, 142-3.