Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/26

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«non si ha da far conto». La gloria? Piacerebbe, se non costasse scomodo e fatica. Insomma, la ricchezza è il solo vero bene: è quella cosa «che gli uomini per ottenerla sono pronti a dare in ogni occasione la patria, la libertà, la gloria, l’onore». Sicché il testo è da restituire, per travestirlo alla moderna, facendo dire a Catilina: Et quum proelium inibitis memineritis, vos gloriam, decus, divitias praeterea spectacula, epulas, scorta, animam denique vestram in dextris vestris portare.

Animam vestram, la vita: quella vita, che non hanno! Quella vita, che Sabazio, l’eterno Dioniso, dio della vita e della morte, è in sospetto anche lui sia cessata da un pezzo in qua; e però manda su dalle viscere della terra uno spiritello, uno Gnomo, ad accertarsene. E uno spirito dell’aria, un Folletto, può dirgli infatti che «gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta». Mancati tutti: «parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine, studiando tutte le vie di far contro la propria natura»: studiandole tutte con quell’«irrequieto ingegno, demenza maggiore» che «quell’antico error», di cui «grido antico ragiona», onde fu negletta la mano dell’altrice natura, come il Leopardi aveva appreso dal Rousseau.

                          Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura!1

Morto l’uomo; e «le altre cose... ancora durano e procedono come prima». E l’uomo che presumeva che il mondo tutto fosse fatto e mantenuto per lui solo! Il Folletto crede invece fosse fatto e mantenuto per i folletti; come lo Gnomo per gli gnomi! La vanità umana pareggia essa la nullità dell’uomo. Ecco: gli uomini «sono tutti spariti, la terra non sente che le

  1. Inno ai Patriarchi (luglio 1822).