Pagina:Leopardi - Operette morali, Milano 1827.djvu/163

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I L P A R I N I ■ volgare e tenue , ma di una moltiplice, e disusala, e quanta ad un sommo antico e romano, tra uomini romani e antichi, era conveniente che pervenisse; nondimeno si volge col desiderio alle gene-» razioni future, .dicendo, benché sotto altra persona (29) : pensi tu che io mi fossi potuto indurre a prendere e a sostenere tante fatiche il dì eia notte, in città e nel campo, se avessi creduto che la mia gloria non fosse per passarti i termini della mia •vita ? non era molto piti da eleggere un vivere ozioso e tranquillo, senza alcuna • fatica o sollecitudine 1* Ma V animo mio, non so come, quasi levato in * piede, mirava di continuo alla posterità in jnodo y come*s$ egli, pacato che fosse di vita, al- 7ora finalmente fosse per vivere. Il che da Cicerone si riferisce a un sentimento della immortalità degli animi propri, ingenerato da natura nei petti umani. Ma la cagion vera si è, che tutti i beni del mondo non prima sono acquistati, che si conoscono indegni delle cure e delle fatiche avute in procacciarli; massimamente la gloria, che fra tutti gli altri, è di maggior prezzo a comperare, e di meno uso* a possedere. Ma come, secondo il det^o di Simonide (So), ... * • *• La bella speme tutti ci nutrica t , • * Di sembianze beate; Onde ciascuno ifidarno si affatica; E quale il mese e quale il dì che amica Gli fìa la sorte aspetta . E nullo i passi affretta *' *’