Pagina:Leopardi - Operette morali, Milano 1827.djvu/190

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DI FILIPPO OTTONIERI. *8* la cagione è, che nessuno stato è felice. Non meno i suddil che i principi, non meno i poveri die i ricchi, non meno i deboli che > petenti, se fossero felici. sarebbero contentissimi' della loro sorte, e non avrebbero - invidia all* altrui : perocché g«i uomini non sono pii» incontentab^i, che sia qualunque altro genere: ma non si possono appaj are so non della elicità. Ora, essendo sempro infelic che maraviglia è che-non sieno mai contenti? -• Notava che posto caoo che uno si trovasse nel pit felice stato di questa terra, senza che e^li ] otessc promettere di avanzarlo in nessuna parte e in nessuna guisa ; s può quasi dire che questi sarebbe iJ più misero di tutti gli uomini. Anche i più vecchi hanno disegni e speranze d’ migliorar • condizione in qualche maniera. E r?cordava un luogo di Seno onte (36), dove consiglia che avendosi a comperare un terreno, si cotnpr* di quelli che sono male coltivati: perchè, dice, un terreno che non è per darti più fratto di quel che dà, non ti rallegra tanto, quanto farebbe se tu lo vedessi andare di bene in * meglio ; e tutti quegli averi che noi veggiamo che vengono vantaggiando, danno molto più contento che gli altri. . All* incontro notava che ninno stato è cosfc rr. [- scro;, il quale non possa peggiorare; e che nessun mortale, per infel^ciss cric che sia, può consolari nè vantar^?, d oendo essere in tanta ini^lic.tà, dia ella non comporti accrescimento. \ngorchè la speranza u^n abbia termiue, i beni degli uomini sone terminati; anz a un di £ resso il r.cco e il povero, il