Pagina:Leopardi - Operette morali, Milano 1827.djvu/250

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I DI TirftANDRO ED ElEANDRO. Se è vera, perchè non mT ha da essere nè pur lecito d dolermene apertamente o liberamente, e dir®, io patisco? Ma se mi dolessi piangendo (e questa si è la terza causa che mi muove), davei noia non piccola a^ 1 altri, e a [ne stesso, senza alcun fratto. Ridendo de i nostri mali, trovo qualche conforto ; e proccuro di recarne altrui nello stesso modo. Sq questo non mi vien fatto, tenpo* pure per fermo che il r'dere dei nostri mali s>a F un oo prefìtto che se ne possa cavare, e V unico rimedio che vi sì trovi. I voono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca irn sorriso. Non dovete pensare che iQ> non compatisca alla infelicità umana. Ma non potendovi riparare con nessuna forzay nessuna arie , nessuna industria, nessun patto; stimo assai più degno dell'uomo, e di una disperazione maj nanima, il rìdere dei mali comun ; che im mettermene a sospirare, lagrimere e stridere insieme cb| b altri, o .Do tandogli a fare altrettanto. In ultimo mi resta a dire, che io desidero quanto voi, e quanto qualunque altro, il bene della’lnia specie in universale; ma non lo spero in nessun modo; non mi so dilettare e pascere di certe buone aspettat.ve , come veggo farea molti filosofi, io questo secolo ; e la mia disperazione, per essere intera, e continua, e fondata >o un g udizio fermo e in una certezza, non mi lascia luogo a sogni e immaginazion Lete circa il futuro, nè animo d’frv - % . tra prendere cosa alcuua per veder di ridurle ad effetto. E ben sapete che 1 uomo non si cLsp )ne . a tentare quel che egli sa o crede non dovergli li \ ^ «