Pagina:Leopardi - Paralipomeni della Batracomiomachia, Laterza, 1921.djvu/59

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appressamento della morte 49

     175Tacque, e cadeva ’l suon de la battaglia
che giva di colei per lo sentiero
che tutto ’l mondo misero travaglia.
     E mostro altro pareva onde piú fèro
non vede orma stampar su neve o sabbia
180lo Scita algente o ’l divampato Nero.
     Aveva umane forme e umana labbia,
e passeggiar parean la guancia scura
l’invidia fredda e la rovente rabbia,
     e a suo passaggio abbrividir natura,
185seccarsi l’erbe, e tremolar le piante
scrollando i rami come per paura.
     Nel buio viso l’occhio fiammeggiante
a carbon tra la cenere, che splenda
solingo in cieca stanza, era sembiante.
     190Al crin gli s’attorcea gemmata benda,
e scendea regio manto da le spalle
com’acqua bruna che di rupe scenda.
     Sprizzato era di sangue e per lo calle
di sangue un lago fea la sozza vesta,
195che in dubbia e torta striscia iva a la valle.
     Seguíalo incerto rombo di tempesta,
ed egl’iva sospeso, e ogni momento
il serto si cercava ne la testa.
     Parea pien di sospetto e di spavento,
200guardavasi d’intorno, e tenea ’l passo
al suon de’ rami e al transito del vento.
     Ecco ’l gran vermo d’uman sangue grasso,
lo qual però che ’l mondo ha ’n sua balía,
ben si conviene andar col ciglio basso.
     205— Ecco ’l figliuol di vostra codardia —
cominciò quegli, — ecco la belva lorda,
ecco la perfid’, ecco Tirannia.
     Quella che sempre vora e sempre è ’ngorda,
quella ch’è cieca come marmo al pianto,
210quella ch’è al prego come bronzo sorda.

G. Leopardi, Opere - viii. 4