Pagina:Lettera al canonico Giuseppe Ballario.pdf/4

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tosto bene l’inglese ed un poco il tedesco, poichè le lingue del nord sono tutte in parentela. Così non perdendo tempo anche durante il viaggio, riuscii a poter predicare per la prima volta dieci giorni dopo il mio arrivo in Laponia, e non tralasciai più per quanto potei. La domenica che fu la vigilia di S. Pietro, dopo aver predicato in Norso o Scandinavo, venni ordinato d’andar a visitar Inglesi che hanno miniere di rame alcune miglia distante dalla missione, per vedere se mai il Signore volesse aprir ad essi pure gli occhi alla luce della verità. Si dovevano traversar tre golfi di mare in barca. L’uomo chiamato a condurre la barchetta non essendo troppo pratico dei luoghi, un altro venne pure come guida. Molte difficoltà si presentarono prima d’entrar in barca; ma pure il comando era uscito d’andare, bisognava andare. Quando fummo in mare alla distanza di circa tre miglia dalla sponda, i remi non servivano più contro l’impeto delle onde. Il vento era fortissimo e contrario e le onde ci spingevano ove non volevamo andare. Alfine inciampammo in un banco di sabbia e la barca si piegò sopra un fianco, l’acqua veniva dentro, le onde seguitavano a spingerla ed il pericolo cominciava a farsi serio. Benchè l’acqua in tale luogo fosse bassa; tuttavia non avremmo potuto reggerci in piedi per la forza dei flutti. Se fossimo stati meno di tre, il pericolo sarebbe stato più grave. Riunimmo dunque le nostre forze serrandosi insieme, ed uno calando nell’acqua per ispingere con uno sforzo la barca a galla. Ciò riescì. Appena a galla non pensammo più che a dirigerci verso la sponda più vicina e più facile a raggiungersi; ma ciò fu lungo perchè il nostro andare era così diretto come il camminar di un ebbro per larga strada. Fortunatamente ancora un uomo dalla sponda, essendo stato spettatore del nostro travaglio, c’indicò il punto più approdabile. Ma non potemmo approdar che camminando un poco a piedi anche nell’acqua. Il vento era freddo, eravamo tutti bagnati, e non ne soffrimmo; la stessa mano suprema che ci salvò dall’annegarci, ci salvò anche dall’ammalarci.

Essendosi deciso che si dovessero intraprendere le Missioni nelle altre parti della Prefettura non ancora ottenute, venne assegnato l’Arcipelago Ferroè ad un bavarese mio compagno; e la parte di Prefettura che trovasi in America a me, coll’obbligo di trovarci almeno un compagno. Siccome questo non si poteva trovar tutto d’un tratto, ed altronde per andar nelle regioni assegnatemi c’è una sola occasione all’anno in primavera; così venne combinato che io andassi col bavarese alle Isole Ferroè ad aiutarlo fino alla primavera ventura, procurando frattanto di trovarci ciascuno un compagno. Partimmo dunque di Laponia dopo la metà di luglio e giungemmo in Hambourg prima della metà d’agosto. Quivi sbarcati ed andando per una strada verso l’albergo, m’occorse all’occhio un banco di frutta con cesti di ciriegie e di albicocchi; nei paesi settentrionali maturano più tardi.

Io non saprei meglio esprimere la sensazione che provai a tal vista, che paragonandola a quella che dovrebbe provare un morto che ritornasse in