Pagina:Lettere (Andreini).djvu/101

Da Wikisource.

LETTERE

Della libertà dell’huomo.


I

O pure ò dolcissimo amico, finalmente mi son liberato dall’aspro, e ’ntolerabil giogo di quel Tiranno, anzi pur di quel Mostro, il quale mentre m’ardeva il seno, godeva di lavarsi le piume, ne i rivi correnti dell’amaro mio pianto. Quel che non ha potuto il Tempo, ha potuto la Ragione: questa m’ha svelati gli occhi, siche veduti gli errori miei, meco di vergogna arrossisco, havendo tenuta, per così lungo tempo sepolta l’anima, in un profondo abbisso di miserie. Hora conosco quell’occulto veleno, che mi turbava i sensi, hora veggo (ma incenerite) le indegne fiamme di colui, che se pur è un Dio, d’altro non è, che di singulti e di querele. Questo ucciditor de i cuori, questo furor delle menti giovenili, questo appetito sregolato, quest’autor d’ogni male, non ha (bontà del Cielo) più forza alcuna sopra quell’anima, ch’egli ha tiranneggiata tanto tempo. Oh quante volte questo vano pensiero, sopra l’ali d’imaginato contento, mi fece volar al Cielo senza partirmi da Terra: ma quanto più m’alzava, il dispietato, al falso bene, tanto più mi lasciava cader nel vero male, siche nel seguirlo, non hebbi altro di sicuro, che la certezza de’ miei continui dispiaceri, poiche se questo struggitor dell’altrui contentezza, mostra à suoi seguaci alcuna sorte di contento, non è, perche fatto men fiero, dalle lor lagri-


me,