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D’ISABELLA ANDREINI. 35

me, voglia in effetto concederlo: ma solo, perche imaginando di posseder il diletto, sia loro più grave da sopportar il tormento: talmente, che questi, che lo seguono, possono sicuramente scriver le promesse de i contenti, nelle arene, e nell’onde, e quelle de i dispiaceri nel marmo, e nel bronzo. Hora non fò guerra à me stesso, per dar pace ad altrui, hora non son perduto in me medesimo, per cercarmi nel seno di Donna, non men cruda, che bella, hora non sento quella divoratrice passione, che mi struggeva, pensando, che ’l frutto della mia lunga servitù, non era altro, che un vano, tardo, & amaro pentimento: ma tutto ch’io sia libero dalle amorose cure, pur sento dolore. Duolmi, ch’io mi son pentito tardi, e duolmi ancora, che sì come hò discacciato l’amor dal petto, non possa discacciar dalla mente l’odiosa memoria delle miserie andate: ma ohime, ch’io non posso, non rammentarmi quel tempo, che ciecamente hò speso nel seguir un cieco, nemico d’ogni mia pace, il quale innebriò talmente di piacer falso, tutti gli spiriti miei, che nel mezo delle infelicità, mi reputava felice: hor’agghiacciando ardeva, hor ardendo temeva tallhor’era costante, tallhor instabile, quando era contento, quando pieno d’affanni, talvolta disperava le cose sicure, talvolta m’assicurava delle disperate, talvolta pensai di sanar le mie piaghe, raccontando à’ sassi i miei tormenti, e mille volte vinto dalla disperatione, maledissi il dì, ch’io nacqui, e voi mio Signore dovete ricordarvene, poiche mercè vostra, infinite volte, con amiche parole, procuraste di scac-


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