Pagina:Lettere (Andreini).djvu/103

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LETTERE

ciar la doglia dal cuore, e confessaste meco, non esser vita più misera di quella degli amanti, poiche non è schiavo di dure catene legato, & à severa soggettione dannato, non è prigioniero, non è infermo, non è povero, non è huomo in somma, per travagliato, ch’ei sia, che tallhor non respiri, fuor che gli amanti trà gli infelici, infelicissimi, i quali ancor dormendo, colpa de i contrarij sogni, prontissimi à turbar la lor inquieta quiete, sommergono ne i torrenti delle lor lagrime, le notturne speranze. Oh quanto errò colui, che chiamò Amore figliuol di Venere, perche dovea più tosto dagli effetti suoi, chiamarlo figliuol della Confusione, & allhora non à caso, non ad arbitrio: ma dal significato della cosa gli havrebbe dato il nome. Puossi vedere maggior confusion di questa? Lasciamo i confusi lamenti di querele diverse, i sospiri, le lagrime, & altre infelicità, e diciam sol di quello, che ordinariamente dicono gli amanti. Uno si pregierà d’haver l’anima ferita dallo strale, d’accorte, e soavi parole, un’altro si dorrà d’haver piagato il cuore, per bellezza crudele, un’altro loderà gli occhi vaghi, un’altro biasimerà l’adamantino seno della sua donna, chi s’affliggerà, chiamandosi tradito da due lagrime finte, Chi si compiacerà delle scoperte adulationi: questi si consumerà nell’ardore, quegli verrà meno nel gielo. Chi servirà una, che lo trafigge, chi amerà un’incostante, che lo stratia, chi haverà post’i suoi pensieri tropp’altamente, chi bassamente troppo; chi seguirà chi fugge, chi fuggirà chi segue, e chi finalmente vorrà, chi una Fri[n]e sia una Pe-


nelope,