Pagina:Lettere (Andreini).djvu/119

Da Wikisource.

LETTERE

privo affatto di ragione, vorrei poter metter legge, non solo à i passi; ma à i pensier dell’amata mia donna. Io cerco sempre di saper l’animo suo, e s’ella il mi dice, penso tuttavia che m’habbia detto il falso; s’ella stà pensosa, credo, che stia così, per esser fastidita di me, se allegra, m’imagino, ch’ella habbia trovato il modo di liberarsi, se m’accarezza, penso, ch’ell’habbia in mente alcun’altro di me più avventurato, s’io l’abbraccio, s’io la bacio, non è senza dolore, dubitando, ch’altro amante, così habbia fatto, o così debbia fare, e procuro sempre di trovar, e di saper quello, che trovar, e saper non vorrei, et oltre à questo (nè mi vergognerò di dirlo à voi, che tanto amico mi siete) cado in questa leggierezza incredibile di portar invidia allo specchio, dov’ella si mira, e de gli occhi proprij di lei, son divenuto geloso, dubitando, che mentr’essi la scuoprono à lei stessa sì bella, non la facciano innamorar di se medesima. Desidero mille volte, ch’ella sia vecchia, e che sia più brutta d’un Mostro, perche ogn’un l’odij, & io sol l’ami. Vorrei, che fosse in necessità di tutte le cose, e ch’altri, che la mia prontezza non potesse, o non volesse aiutarla. Odio mortalmente, chi dice ben di lei, chi le s’avvicina, chi la mira, oh pensate chi l’ama. Quand’ella esce di casa, vorrei, che ’l giorno si mutasse in oscurissima notte, accioche alcuno non potesse vederla, attesoche mi pare, che non pur gli huomini tutti procurino di mirarla; ma e’ mi pare, che ’l Sol istesso raddoppi i suoi raggi, per poter meglio vagheggiarla. Quell’oro che l’adorna, mi ricorda quel, ch’è scritto di Danae,


porto