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D’ISABELLA ANDREINI. 63

hà potuto spegner giamai picciola favilla del mio ardore, ilquale quanto pìu misera piango, tanto più, con maraviglia di me medesima cresce. Godete dunque ingrantissimo, poiche, tutte le cose insolite m’avvengono, per farvi appieno de’ miei martiri contento.


Simili.


S

OLO, e sommo contento del cuor mio. Voi hiersera così alla sfuggita mi diceste non esser vero quel, ch’io di voi essermi stato detto v’accennai, che non potei sentir la consolatione ch’io desiderava. Hora, se non è vero, io prego Amore, che sgombri da me quello sdegno, che à poco à poco pigliando possesso nel mio cuore cerca di levargli il suo luogo, e procura di spegner col suo ghiaccio le amorose sue fiamme. Se non è vero, nelle tenebre dell’oscuro abbisso volino i miei ciechi sospetti, e quest’ira nemica d’ogni mia pace, rimanga dalla ragione abbattuta, e vinta spiri nella mia mente vento piacevole, e soave, che discacci la densa nebbia de’ miei pur troppo foschi martiri. Deh voglia il Cielo (ò mia vita) ch’io sia stata dalle altrui false parole ingannata, e che sia stato vano il mio credere. Voglia la mia buona fortuna, che sicome io non mi son mai pentita d’havervi donato il cuore, così voi non habbiate nè à fintione, nè ad inganno dato ricetto: ma perche bramo d’intender dalla vostra bocca meglio la


vostra