Pagina:Lettere (Andreini).djvu/186

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D’ISABELLA ANDREINI. 81

ch’io havessi, meco stesso proposto di trattar di quella singolar bellezza, che sì dolcemente si fece tiranna dell’anima mia, non per ciò posso formarne voce: ma quand’anche, io mi sentissi libero da tutte le perturbationi, conoscendo le forze debili del mio ingegno, non oserei di por mano à così difficile impresa, perche in vero la vostra beltà celeste, è sol degna d’eloquenza divina, per laqual cosa io son fatto accorto, ch’è meglio riverir col cuore il vostro merito, che profanarlo (per dir così) con lode senza lode, avegnache quando la lode non arriva al merito, ella diventa biasimo. Tacerò dunque, e ’n sua vece dirò, c’hò fatto pensiero di seguir l’antico, e lodevol costume d’alcuni Popoli, iquali non s’appresentavano mai davanti al lor Rè, che non gli facessero alcun presente, non perche presuponessero avaritia in lui, o dinotassero mancamento in loro; ma solamente per significar il suo merito, e la lor divotione; per ciò à voi mia Regina, per segno del vostro merito, e della mia riverenza presento, e dono me stesso, non havendo appresso di me (eccettuata voi) cosa di me più cara; e sappiate, che quand’ancora, per altissima mia ventura foste mia, che à voi ogni altra cosa, che voi doverei, desiderando io, che tutte le cose del Mondo fossero vostre, pur che voi sola foste mia. Me stesso vi dono dunque; supplicandovi ad accettarmi, con quell’istesso affetto, ch’io mi vi presento, ricordandovi, che non è minor virtù il ricever i doni con benignità, che ’l mostrarne d’essi liberalità, e baciandovi le bellissme mani, attendo


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