Pagina:Lettere (Andreini).djvu/209

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LETTERE

scrivo. Deh siami conceduto, che ’l mio dolce Signore possa leggendo questa lettera conoscer qual sia ’l mio stratio, la mia doglia, e la mia morte: ma ohime, ch’io spero tropp’alte cose, perche tanto meno si posson dire gli amorosi tormenti quanto più son grandi, e quanto con più forza dentro si chiudono. Dunque Signor mio conoscete dalla mia morte quell’affanno, che per esser troppo chiuso nel cuore non posso chiuder in carta. Ella vel’ dica, ella vi faccia sapere, che dopò, che vi partiste non hanno veduto gli occhi miei, cosa, che sia loro piacciuta, e c’habbia havuto forza di far che cessino tanto dalle lagrime, che per picciol momento si sien veduti asciutti, nè altro che doglia, & affanno giunse alla tormentata anima mia, nè mai si vide la mia dolente bocca senza sospiri, nè mai s’udì la mia stanca lingua senza querele, nè mai fù senza fiamme il cuor mio, nè mai la voce senza singulti. Dicavi la mia morte, che ’l dolor della vostra partenza fu tale, che mi levò la vita. Deh perche non mi concedette la sorte, ch’io morissi innanzi à quei bellissimi Soli, che fanno immortale il fuoco del cuor mio? quegli occhi dico à i quali offersi mille volte questo mio seno ignudo, e ricevei con sommo contento le acute saette, che m’avventarono. E pur vero, che non ho vita da voi lontana. Oh quanto è lungi il mio conforto, oh quanto è lungi il mio sperare, oh quanto è lungi la mia salute, oh quanto è lungi colui, che solo col dolce sfavillar de gli occhi sereni può camparmi da morte. Ah ben è vero, che nel vostro partire ogni mio conten-


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