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D’ISABELLA ANDREINI. 105

bassezza, laqual conoscenza mi toglie lo sperar, che la servitù mia possa in alcun tempo conseguir un solo de’ nostri alti pensieri, e per maggior mio male questa conoscenza della nostra disparità, non può frenarmi sì, ch’io non v’ami. Veggo posta in amarvi la mia infelicità, corro ad occhi aperti à far naufragio, nè schivar posso il pericolo, ilche può senz’altro assicurarvi, che voi sola siete Signora della mia libertà; ma, se lo spirito nostro è stato creato, perche si levi in alto, qual maraviglia sarà, e qual riprensione potrem noi darli, s’egli aspira, all’altezza de’ vostri altissimi meriti? dunque amand’io donna dotata di tanta eccellenza, sarò privo di giudicio à dolermi, anzi, se ben considero il dolor, ch’io sopporto dee bastare per degna ricompensa della mia amorosa servitù. O soavi, ò gradite pene d’amore non venite meno, poiche tanto mi dilettate, che d’altro non temo, che di rimaner di voi privo, & eleggerei prima di morire, che d’udir, ch’altro amante fosse più appassionato di me, volend’io, che ’l Mondo conosca, che s’io non son buon per servirvi, son buon’almeno per languir per voi.


Delle lingue bugiarde.


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NIMA mia cara. Io sò, che da lingue non men bugiarde, che invidiose v’è stato detto, ch’io nella mia breve assenza mi son compiacciuto d’altra bellezza che della vostra, e che peregrino errante fò l’istesso in tut-


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