Pagina:Lettere (Andreini).djvu/235

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LETTERE

ti i luoghi, e che tanto non porto piaga quanto non veggo obbietto, havendo più tosto per arte, che per accidente l’amare. Se voi (desideratissima Signora mia) credete questo (perdonatemi) dimostrate d’esser poco, anzi nulla conoscitrice, così del vostro merito, come del mio debito, e dimostrate ancora d’haver pochissima cognitione di quel dono, che v’hà fatto il Cielo, ma perche non vi dice il vostro fidatissimo specchio (alquale pur dovereste credere) che l’oro, delle vostre chiome è tale, che non solamente di laccio indissolubile può tener legato il cuor mio; ma l’istesso Amore à cui è piacciuto di legar se medesimo in così cari nodi? che non vi dice quel lucido cristallo la forza di quegli occhi arcieri, che m’avventarono acutissime saette, e che mi piagarono con tanto mio diletto il cuore? che non vi dice quanto può l’avorio di quella bella mano? che non vi fà egli sapere come rapisce la cara libertà? quel latte appreso che vi fà bianco il seno molto più che non fà la neve candidi i poggi? che non vi scuopre la virtù de i coralli delle vostre labbra di porpora? e perche non vi dice finalmente, che se la bellezza havesse corpo, voi l’istessa bellezza sareste? Ah, che se ciò vi fosse noto, vi sarebbe ancor noto il mio fuoco, ilquale tanto durerà in me, quanto l’esca della mia vita potrà mantenerlo. Siate sicura, che quand’io scorressi dove spunta il Sole, e dov’egli raccoglie la propria luce nel Mare, non che per luoghi tanto vicini come son quelli dove per forza son gito, che non avverrebbe mai, ch’io non sol mi scordassi di voi: ma che per breve


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