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D’ISABELLA ANDREINI. 110

scintilla di passione. Ohime Fortuna à che son’io condotta colpa della tua volubiltà? che bench’io senta doglia indicibile, nondimeno io la chiamo picciola, e di niun valore, poich’ella non mi toglie la vita, che di perder volontieri eleggerei più tosto che mettervi à parte del mio male: ma che? S’io non vel’ dico, altri vel dirà, & à me giova di credere, che vi sarà più caro d’intender alcuna nuova, benche amara da me, che da qual altro si voglia. Sappiate dunque anima mia cara, che mio padre venne hieri à me tutto allegro, e mi disse. Figliuola mia, essendo venuto il tempo d’accompagnarti, e che tu m’habbi à far contento della tua prole, per mezo della quale spero di conseguir se non immortalità almen vita per molti, e molti anni, ho eletto di maritarti, per ciò disponi l’animo tuo in conformità del mio, e di quello ancor di tua madre, laquale altro non brama che questo. Lo sposo, ch’io t’ho eletto è giovane, ricco, bello, e da te conosciuto. Io à queste parole mi feci tutta vermiglia, e ’l cuore per allegrezza, con moto frequente pareva, che volesse uscirmi di seno; à quel suono di giovane, bello, e da te conosciuto, mi caddè in animo, che foste voi, quand’egli seguitando il suo ragionamento disse. Quest’è ’l Signor Valerio. oh guarda mia cara figlia, s’hai occasione d’esser contenta, oh quante t’havranno invidia. S’alle prime parole mi feci nel viso di fuoco, alle seconde mi feci di neve, e mi corse un freddo ghiaccio per l’ossa, e chinando gli occhi à terra non men rimasi attonita, e stupida, che s’i’ havessi veduta la sassifi-


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