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D’ISABELLA ANDREINI. 111

comprendo ben’io, che non l’amor di tuo padre, o di tua madre; ma altro ti spinge à non compiacer al mio volere. Figlia, che nega di maritarsi degnamente quand’è ’l tempo si dimostra d’alcuna cosa colpevole. In somma disponti di dar il tuo consenso, perche così voglio, e domani o lieta, o trista lo sposo hà da toccarti la mano, sì che intendi. Ciò detto si partì così fiero, che spaventò l’istessa mia madre, laquale tutta mesta si partì anch’ella di camera lasciando me sola in preda alla disperatione, & al dolore presupponendo per quant’io mi creda dover essermi di giovamento il pianto. Io così rimasa presi questa carta, e bagnandola più di lagrime, che d’inchiostro feci pensiero di scoprirvi l’infelice mio stato non sapendo che rimedio trovare à tanto mio bisogno, se nol trovate voi, voi, che della mia cadente vita siete vero sostegno. A voi ricorro in questo mio gran pericolo, e vi prego per quell’amore, che mi portate, e ch’io vi porto, per quella fede, c’hò in voi, e per quella riverenza con che v’osservo, che vogliate darmi alcun’aiuto, ch’io sempre conoscerò ogni mia felicità da voi, e se non sarò atta à ricompensarla, la ricompenserà il Cielo giusto premiatore delle buone opere. Imaginate, tentate, trovate modo per soccorrermi, e muovetevi à compassione di me, che cinta da tante miserie non sò à qual partito appigliarmi. Io non voglio esser se non vostra, se però vi contentate. Vi prego con tutto ’l cuore a farmi questa gratia, assicurandovi, che se non trovate modo di farmi vostra, io troverò modo d’uscir di vita.


Del