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D’ISABELLA ANDREINI. 114

angelico viso vengono gli acuti strali da cui mi sento con mio sommo piacere ferir il cuor, e l’anima, e sotto le vostre accorte, e divine parole, nascondete l’hamo, che lo spirto m’invola. Voi mi fate lievi le catene, cari i legami dolci le ferite, graditi i sospiri, avventurose le lagrime, fortunate le pene, e beato il morire; voi Signora mia non armate il petto di durissimo ghiaccio, nè superbo fasto, o gonfia alterezza v’ingombra la mente, come suol avvenir alla maggior parte di quelle, che belle si conoscono: ma altrotanto cortese quanto bella humanamente operando, vi fate à tutto ’l Mondo riguardevole, e quando per ornar la bellezza vostra ricorrete allo specchio, non può contro chi vi serve saltar in campo l’orgoglio: e benche si favoleggi, e si dica lo specchio esser stato fabricato sopra ’l fiume dell’oblio, per significar, che le Donne quando si specchiano di tutt’altro si scordano fuor che della bellezza loro, in voi mia Signora questo non si verifica, poiche sempre hò conosciuto, che ’n ogni luogo (bontà vostra) vi siete ricordata dell’amor mio, e della mia servitù. O anima cara, egli è pur vero, che per voi provo tanta felicità, ch’io reputo non esser piacer in terra, che ’l mio contento pareggi. Ohime quando voi mi fate degno, che senza sospetto io venga à ritrovarvi, e che narrandovi le mie lagrime, e i miei sospiri veggo, per la pietà del mio male cader da’ bei vostri occhi mille lagrime, anzi mille bellissime perle, non son’io appieno felice? dicavi Amore il contento, ch’io hò quando dal suono delle vostre parole, son confortato à sopportar, con men


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