Pagina:Lettere (Andreini).djvu/258

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D’ISABELLA ANDREINI. 117

della bellezza vostra, come son’io? se dunque io son vostro, debbo come cosa vostra rispettarmi; ma se la crudeltà vostra m’ha tolto la vita, io non potrei nè anche quand’i’ volessi morire; ma se ’l dolor è segno di vita, non potendosi doler chi mi vive, io che sento dolore, e del dolor mi doglio hò dunque vita; e se con l’infinità de’ martiri, che sono in questa dolente vita dò vita a voi, che d’altro, che de’ miei tormenti non vivete, hò dunque vita e per voi, e per me, talmente che posso uccidermi: ma si dice, che le ferite quando non toccano il cuore non son mortali, dunque non saranno mortali le mie, essendoche i’ non hò cuore havendone fatto dono; ma (lasso me) ben vi feci dono del cuor mio; ma ’l vostro altero, e superbo non volendo, ch’altri albergasse, nell’honorata stanza del vostro seno fieramente lo discacciò, e rimandollo indietro, ond’egli pieno di vergogna, e di lagrime tornò all’usato suo luogo, e quivi addolorato stassi, dunque posso ferirmi, che le ferite saran mortali; ma, s’io mi ferisco che avverrà di voi, che siete; e bella; e viva nel cuor mio? morirete anche voi; ma perche sarebbe grandissimo errore il dar morte à così bella, e gratiosa Donna, io rimarrò d’uccidermi, affine ch’ella nella mia morte non muoia; dunque io perdono à questo seno per voi nell’istesa guisa, che Demetrio valorosissimo Capitano perdonò alla Città, di Rodi, e non la distrusse per riverenza, ch’egli portò ad un ritratto, ch’era quella Città fatto per man di Protogene, e data la differenza hò da farlo più di lui, poiche più val un’huomo, e una don-


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