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D’ISABELLA ANDREINI. 150

(dite voi) havrebbe parlato arditamente, dunque non meritando escludiamolo dal nostro amore. S’alcun’altro pigliando baldanza da quegli sguardi fintamente pietosi, da quegli atti piacevoli, da quelle parolette melate, che solete usare, perche un cuore d’amorosa speranza trabocchi ardito: ma però modesto, procura di farvi conoscer la sua leal servitù, sò, che bisogna, ch’ei s’armi d’una buona pacienza, e che si contenti d’esser proverbiato à torto, come vi pare. Infine si vede bene (pur dite voi ) che costui ha sbandita ogni vergogna e ch’egli hà la prosuntione in cambio di virtù, ò che bel modo d’acquistar la gratia della Dama. M’avveggo ben’io, che bisogna fargli conoscere, che l’insolenza è un male, che si medica col bastone. S’altri con alcuna sentenza, con alcun’essempio nobile, e con alcuna accorta comparatione, procura di far veder alla sua Donna, che la sua fede avanza quella d’ogn’altro amante, e ch’ella è tenuta à ricompensarlo, non manca il dirgli. O ecco l’Aristarco il qual non sà parlare, se non allega sentenze di Platone, o d’Aristotele, dov’ha egli appreso questo modo di dire, vada à legger nelle scuole à fanciulli, e non à ragionar nelle camere con le donne; vuol egli forse per mezo de’ suoi Sofismi farci vedere, e credere, che siamo obligate ad amarlo? benche donne inesperte, sappiamo ancor noi, che ’l dover non si trova in amore, e che non v’ha Giudice, che punisca quelle, che amate non riamano. S’un’altro con semplici detti, affatto lontani dalle


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